Pompei, simbolo di un’Italia a pezzi

Risalgono a marzo di quest’anno gli ultimi crolli (tre nei primi tre giorni del mese) nel sito archeologico di Pompei, patrimonio dell’umanità dell’Unesco dal 1997: tra gli altri un muro di quasi due metri nella Necropoli, ha ceduto fortunatamente senza causare feriti, e un arco nel tempio di Venere, già pericolante da tempo, come sapeva benissimo chi di dovere. Come se non bastasse, ci sono stati i furti: il più sorprendente è l’asportazione, a suon di scalpello, di una sezione dell’affresco di Apollo e Artemide in una delle domus principali. Il fatto in questione, reso noto solo il 18 marzo ma risalente ad una settimana prima, dimostra l’assenza di una vigilanza costante e di una concreta tutela dell’area, divenuta negli ultimi tempi un covo per i tanti cani randagi che si aggirano tra le rovine. Inizialmente era pure partita la caccia di questi sfortunati animali, subito fermata da Aldo Aldi, Commissario prefettizio, che il mese scorso ha disposto controlli da parte della Asl; i cani probabilmente continueranno ad aggirarsi affamati per le rovine, ma intanto sono diventati “cani di quartiere”. Almeno loro non rubano nulla. Aldi, il cui mandato scade tra una quindicina di giorni, lascia il problema in mano alla prossima amministrazione comunale insieme a ogni forma di degrado che interessa l’area attorno agli scavi: le strade circostanti sono invase dai rifiuti, non mancano le costruzioni abusive e, dulcis in fundo, anche la presenza di prostitute, memori dei lupanari di Pompei di epoca latina. Il quotidiano Le Monde già lo scorso anno aveva denunciato il probabile legame tra le società che gestiscono il sito e le organizzazioni mafiose locali. Nonostante questa indagine fosse stata inizialmente snobbata come “infondata”, il 16 aprile scorso sono iniziate le indagini riguardanti i lavori avviati nell’ambito del “Grande Progetto Pompei”, approvato dal governo Monti e finanziato dalla Comunità europea con 105 milioni di euro. Mica bruscolini. Nel 2011 la Francia stessa provò a stanziare 200 milioni di euro per la salvaguardia di Pompei, chiedendo rigorosi controlli sulla destinazione del denaro. L’Italia non fornì alcun tipo di garanzia e l’accordo svanì, la notizia pure, in un susseguirsi di governi, promesse, inchieste. E intanto Pompei, simbolo dell’inestimabile patrimonio culturale italiano, in silenzio, muore. E insieme al luogo simbolo con Roma del lontano passato italico, si può sentire suonare il requiem per un’Italia agonizzante, stesa su un letto di uno dei molti ospedali fatiscenti: si tratta dell’Italia della cultura, della Storia e della memoria. Questa è la conferma che il nostro Paese non ricorda quel che è stato e continua a rigirarsi in un ciclo convulso nel quale, se non sono ancora morti, riemergono sempre gli stessi personaggi. Anche se demoliti da qualche scandalo, risorgono candidi come la neve a comandare questo Paese, mentre dovrebbero solo sparire. Dopo averci chiesto umilmente scusa, anche per aver lasciato a se stesso un patrimonio di arte, cultura e sapere. Un patrimonio di tutti.

Elena Ferrato