Prostituzione: le opinioni di Maiorino e Rosenberg

Il ddl presentato in Senato a febbraio, che vorrebbe innovare la legge Merlin punendo chi acquista prestazioni sessuali, ha riacceso il dibattito su cosa sia la prostituzione e quanto sia una libera scelta. Si scontrano visioni opposte: ne abbiamo parlato separatamente con la senatrice M5S Alessandra Maiorino, prima firmataria del ddl, e con Ugo Rosenberg, autore del libro Sex Work. La prostituzione in Europa… Oltre i pregiudizi (Edizioni Croce).

Prostituzione come costrizione o come scelta

La criminalizzazione del cliente, l’azione di sensibilizzazione sulla tratta, la costruzione di percorsi di supporto per cambiare lavoro: il ddl guarda alla prostituzione come a una forma di abuso. «Secondo i dati raccolti in oltre un anno d’indagine – spiega Alessandra Maiorino – nove volte su dieci la donna prostituita è stata costretta. Il legislatore non può allora non identificare nel cliente una responsabilità».

Ed è, secondo Maiorino, una questione di genere: «Sono donne il 95% delle persone in prostituzione e il 72% delle vittime di tratta. È sconcertante che si parli di libertà femminile di usare il proprio corpo per fare profitto: l’unica libertà sempre concessa alle donne è vendersi per ottenere favori dove dovrebbero avere diritti». 

La prostituzione come atto volontario, sostiene Maiorino, è residuale e non è il target del ddl: «Non è una legge moralista che vuole impedire a due adulti consenzienti scambi economico-materiali che includano il sesso: vogliamo raggiungere le persone più vulnerabili. La legge Merlin è stata rivoluzionaria, ma guardava al mondo delle case chiuse. Oggi il cuore del fenomeno è quello della tratta». La quale ha a che fare con una visione retrograda del rapporto di genere e che il ddl si propone di cambiare stigmatizzando l’acquisto di sesso e proponendo percorsi di recupero per i clienti abituali. 

Ugo Rosenberg, studioso del fenomeno, considera impropria questa visione: «Al di là di ambiti specifici, come la prostituzione nigeriana, la maggioranza delle persone che si prostituiscono in Italia lo fa per libera scelta». Anche i rapporti con i clienti non rispondono, nel caso delle persone che si prostituiscono volontariamente, allo stereotipo della donna subalterna: «In questo caso sono le prostitute a decidere se accettare o meno un cliente e a stabilire le prestazioni sessuali da fornire. Molte gradiscono l’essere apprezzate nel loro lavoro dai clienti e vivono volentieri la componente di relazioni sociali di questa professione».

E se liberamente scelto, prostituirsi può essere un lavoro a tutti gli effetti, «con una specifica funzione sociale», spiega Rosenberg: «Tra i clienti vi sono infatti anche uomini che, per difficoltà di vario tipo o disabilità, difficilmente troverebbero una partner. Grazie a queste professioniste possono condurre una vita sessuale soddisfacente. A Berlino circa metà delle case di cura per anziani o disabili gravi si avvale, legalmente, di queste collaborazioni».

Non a caso, studiosi come Kathrin Schrader della Frankfurt University of Applied Science inquadrano la prostituzione come «care work»: il cliente non compra un corpo, ma una prestazione professionale temporalmente definita. 

Punire i clienti per mandare un messaggio

L’antitesi, insomma, è tra vendita del corpo e vendita di prestazioni. Adottando la prima visione, il ddl mutua la legge svedese che sanziona i clienti: dall’entrata in vigore della legge, la prostituzione stradale è diminuita di due terzi. Ma è stata accompagnata da un incremento dell’indoor e di annunci online: 304 nel 2006, oggi oltre 10mila. 

L’aumento dell’online, che Maiorino derubrica a segno dei tempi, per Rosenberg getta ombre sull’efficacia del modello nordico: «Il governo svedese ritiene che la legge scoraggi i trafficanti dal considerare il Paese come destinazione per le loro attività criminali. In Svezia i numeri dei procedimenti giudiziari in tema sono in effetti contenuti, ma secondo diversi studiosi ciò è dovuto alla difficoltà della polizia nell’individuare tali crimini, a causa della semiclandestinità in cui si svolge la prostituzione. Incide anche la mancata collaborazione dei clienti, che evitano di denunciare situazioni sospette di tratta e sfruttamento perché questo li esporrebbe a sanzioni». 

Dati controversi, che per Maiorino non inficiano l’efficacia del modello: «Più che i numeri del fenomeno, è interessante il netto aumento del gradimento della legge raggiunto in Svezia in questi vent’anni: l’inversione di un paradigma culturale». 

Il nodo della tutela delle persone in prostituzione

Mentre il cliente viene punito, la libertà di scelta della prostituta, sostiene Maiorino, è tutelata ed estesa dalla possibilità di accedere a percorsi di uscita dal mercato del sesso: «Oggi le donne hanno paura di rivolgersi alle forze dell’ordine perché per loro, fuori, non ci sono possibilità. Lo Stato ha il dovere di rimuovere questi ostacoli, perciò non può lasciarle da sole». 

Ma la garanzia di poter cambiare vita non tutela il presente di chi si prostituisce: lo dicono molte testimonianze dal nord Europa, come il report 2022 di Amnesty International sulle condizioni dei sex worker in Irlanda. «Per sfuggire ai controlli che la polizia attua nei confronti dei clienti – spiega Rosenberg – le prostitute sono costrette a operare in luoghi più appartati, per chi esercita in strada, e presso altrui domicilio, per chi lavora indoor. Si rapportano con una clientela potenzialmente più pericolosa, che non teme le conseguenze penali della legge. Data la penuria di lavoro, è per loro più arduo rifiutare clienti sgradevoli, come persone ubriache o aggressive. Spesso incontrano difficoltà persino a imporre una corretta profilassi, nell’esigenza di guadagnare qualche soldo. In Irlanda, a seguito dell’introduzione nel 2017 della legge che sanziona i clienti, i crimini violenti a danno delle lavoratrici del sesso hanno avuto un incremento del 92%». 

 Se il cambiamento culturale avviene sul corpo di chi si prostituisce

«Questa legge vuole lanciare un messaggio agli uomini e ai ragazzi: non è un diritto offrire denaro per avere in cambio sesso», afferma Maiorino. Il prezzo di questo cambio di paradigma potrebbe essere però alto per chi continua a prostituirsi, che lo faccia per costrizione o per scelta.

«Sarebbe ora di guardare, anche in Italia, alla prostituzione volontaria in modo diverso, riconoscendole piena dignità lavorativa, con relativi diritti e doveri, anche fiscali», è la posizione di Rosenberg, che spiega: «Una libera professione da esercitarsi anche in strutture idonee, come accade nei club privati in vari paesi europei, con la cura di garantire adeguati standard di sicurezza e igiene e perseguire rigorosamente chi compie atti criminali quali tratta e sfruttamento, non certo i clienti delle prostitute». 

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Supervisione giornalistica: Tito Borsa

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