Rap è «rompere le palle». Intervista a Trava

Elaborazione grafica di Flavio Kampah Campagna

Alessandro Travaglio, in arte Trava, dopo la partecipazione a Italia’s got talent l’anno scorso, ha da pochi giorni pubblicato «Kintsugi», il suo ultimo Ep (scaricabile gratuitamente qui). Figlio del direttore de il Fatto Quotidiano Marco Travaglio, da lui ha ereditato — come vedremo — la voglia di disturbare i potenti di turno e la passione per artisti che normalmente poco avrebbero a che fare con il rap, ambiente in cui Trava si sta facendo rapidamente conoscere.

Trava. Foto di HogWash Production. Dalla pagina Facebook dell'artista
Trava. Foto di HogWash Production. Dalla pagina Facebook dell’artista

Che cos’è «Kintsugi»?
Il disco è una via di mezzo fra un normale Ep, che teoricamente dovrebbe contenere 5 brani, e un disco che dovrebbe averne una decina: io ho scelto di metterne 7. «Kintsugi», pensato la scorsa estate ma in realtà scritto più che altro in questi ultimi mesi e registrato al volo,  è un percorso un po’ trasversale rispetto a quello che sta andando in questo momento di moda nella scena rap italiana: ho voluto riempire i miei pezzi di contenuti. Soprattutto dopo aver portato a Italia’s got talent una traccia che parlava principalmente di attualità, ho voluto continuare a dimostrare a quel pubblico, influenzato da miei pezzi meno contenutistici e più tamarri, che la mia musica non è solo apparenza e spocchiosità, ma ci sono anche delle idee all’interno delle tematiche che tratto.

Il kintsugi è una pratica giapponese che consiste nel riparare le cose rotte con l’oro, dando loro ancora più valore. Come mai hai scelto questo titolo?
Ho letto per caso un articolo che parlava del kintsugi, di cui ignoravo l’esistenza. Ho visto questa tecnica come una metafora di ciò che accade anche alle persone che dovrebbero usare le proprie ferite per rinascere, come un nuovo punto di forza per continuare ad andare avanti e non abbattersi. Visto che ho parlato all’interno del disco di determinate situazioni che ho vissuto (per esempio la scomparsa della zia in Dimmi, ndr), mi sembrava il caso di far emergere il fatto che io pur portando sulla mia pelle tante ferite e tanti «No», non mi sia mai buttato giù. Al contrario questi ostacoli mi hanno spronato ad andare avanti. Io faccio quello che faccio perché mi piace e non devo rendere conto a nessuno di questo.

Italia’s got talent è stata un’occasione di crescita artistica?
È stata senza dubbio un’occasione per crescere, ma io l’ho interpretata come un mezzo per confrontarmi in maniera più leale con un pubblico solido che non fosse composto solo da persone che vedono i miei video per caso o che mi conoscono per il cognome che porto. Volevo dimostrare a un pubblico più ampio le mie capacità, partecipando senza un vero fine competitivo: l’ho voluto fare più per mostrare di essere una persona abbastanza acculturata, che ha studiato e che sta studiando. Il mio scopo era solo quello di divertirmi.

Se dovessi scegliere due rapper e due artisti estranei al rap che ti hanno ispirato, chi sceglieresti?
Per quanto riguarda i rapper ovviamente Fabri Fibra e probabilmente i Club Dogo: ho iniziato ad ascoltare rap con loro e con Mondomarcio. Loro hanno segnato abbastanza la mia infanzia, anche in parte la mia scrittura: adesso sono abbastanza autodidatta e comunque ascolto poco rap italiano. Per quanto riguarda invece gli artisti fuori dal rap, credo Franco Battiato di cui sono superfan e Renato Zero.

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Renato Zero che con il rap c’entra ben poco, no?
In realtà io ho sempre ascoltato questo tipo di musica anche con la mia famiglia e quindi Battiato, Renato Zero, De Gregori, Dalla e Battisti sono sempre state presenze fisse in casa. Mi piace la musica italiana di questo tipo, quella attuale non la ascolto.

Nella prefazione a Dietrologia di Fabri Fibra (Rizzoli), tuo padre ha spiegato che lui e il rapper di Senigallia, nonostante i mestieri diversi, hanno in comune il fatto che amano «rompere le palle». Concepisci anche tu il tuo lavoro come un modo per fare denuncia sociale, per «rompere le palle» ai potenti intoccabili?
Il trucco è proprio questo: Fibra mi ha sempre detto che bisogna esagerare. Lui non si è mai fatto dei problemi a fare una strofa tutta dedicata a Laura Chiatti, nella canzone Vip in trip (dall’album «Controcultura»), ed è stato anche denunciato per questo. Nonostante il rap abbia avuto indubbiamente un’evoluzione, rimane un genere di denuncia, la tecnica è parlare degli altri per far parlare di te.

Trava e Marco Travaglio
Trava e Marco Travaglio

In House of cards dipingi due fazioni in contrasto che è in qualche modo ciò che permette loro di sopravvivere. C’è un riferimento alla scena politica italiana?
Certamente ci sono dei riferimenti alla politica perché il brano è stato scritto dopo aver visto la prima stagione di House of cards (la serie tv con Kevin Spacey). Mi sono immaginato un rapporto di coppia che per mantenersi stabile deve scendere alle volte a compromessi e quindi entrambe le parti devono convivere per trovare un equilibrio, come succede in un castello di carte dove l’una tiene l’altra. Essendo ispirato alla serie tv, ovviamente nel brano ci si riferisce anche a giochi di potere.

Hai in programma qualche concerto nei prossimi mesi?
Di date sicure ne ho solo una a Torino il 18 settembre al Palavela a Torino, così il pubblico può ascoltarsi il disco durante l’estate. La settimana prossima arrivano le copie fisiche dell’Ep. Penso che durante l’estate organizzeremo anche altre date e le pubblicheremo nella mia pagina Facebook.