Regeni: le promesse del Governo si sono scontrate con la realtà

In quella che ormai è diventata una triste telenovela, continuano ad aggiungersi elementi che sanno di beffa. I genitori di Giulio Regeni non hanno ricevuto gli oggetti di sua proprietà al momento dell’assassinio ma quelli che, nel tentativo di depistare le indagini, erano stati presentati come tali. I suoi documenti sono invece, da qualche giorno, nelle mani degli inquirenti italiani. E proprio Paola e Claudio hanno lanciato il proprio grido contro le promesse non mantenute dal Governo, da Conte e dalla maggioranza parlamentare.

Ed è proprio sulle questioni internazionali che il Movimento 5 stelle in particolare ha dovuto fare i conti con la realtà: se gli stessi parlamentari fossero all’opposizione avrebbero fatto ben più che le barricate contro la vendita delle due fregate e di altri mezzi da guerra, nonché di un satellite, al Ministero della Difesa egiziano. In ambito geopolitico non c’è molto spazio per le fantasie da programmi elettorali, basti vedere cosa è già successo con la questione Tap in Puglia o con la situazione in Libia. La politica deve fare un bagno di realismo e dire la verità: le relazioni diplomatiche, nonché quelle di intelligence, arrivano a livelli strategici tali che, per quanto nessuno metta in dubbio la voglia di verità, la morte di una persona non può intaccarle.

L’atteggiamento passivo o il non interventismo, in questi casi, non possono essere presi in considerazione, anche perché abbiamo già visto cosa è successo in passato, con zone libiche che vengono destabilizzate e con l’Italia che è stata la prima a rimetterci, dalle migrazioni agli interessi economici. Questo discorso vale ancora di più in questo momento storico, con gli stati UE e NATO che hanno interessi completamenti contrastanti l’uno con l’altro.

Per questo l’Italia ha fatto bene, tramite l’azienda Leonardo, a sottrarre alla Francia il ruolo di fornitore egiziano, costruendo navi più avanzate. Anche il sostegno di Conte al leader libico Al Sarraj, quando Francia e Usa sono politicamente più vicini al generale Haftar, va nella direzione giusta, difendendo gli interessi di Eni nella zona. In questa situazione, l’Italia si trova casualmente al fianco della Turchia (ricordiamo il viaggio dello stesso Di Maio ad Ankara pochi giorni fa), che si trova essa stessa a sostenere Al Serraj: i soldati italiani e turchi, recentemente, hanno contribuito a sminare una zona cittadina, con le mine che erano state piazzate dagli uomini di Haftar. La Turchia ha successivamente incrinato i rapporti con la Russia sul ruolo da affidare ad Haftar come mediatore per cui l’Italia, in questo scenario geopolitico molto complesso, può ancora dire la sua,

Al di là degli interessi economici, due giorni fa sempre Di Maio ha incontrato Al Serraj: questa volta al centro della discussione è il memorandum sui migranti, ovvero gli accordi (inaugurati da Minniti) per la gestione di chi è ammassato nel nord della Libia per tentare viaggi di fortuna. Quest’ultima questione è la più delicata, perché si parla di migliaia di persone da gestire in condizioni molto difficili. Le politiche che riguardano il Mediterraneo vanno quindi affrontate con un approccio pragmatico, ricordando che unire i pezzi del puzzle è molto più complesso rispetto a quello delle promesse facili, soprattutto se gli impegni vengono presi nei confronti di chi ha già subito gravi lutti.