Se la politica non ascolta Greta e il suo movimento, perde credibilità

Dal 20 agosto in Svezia una ragazzina di quindici anni, Greta Thunberg, salta scuola il venerdì per presentarsi invece a Stoccolma di fronte alla sede del parlamento in segno di protesta contro la mancata attenzione della classe politica verso i cambiamenti climatici e le tematiche di sostenibilità ambientale. Nessuno si sarebbe aspettato che da quel giorno di agosto in avanti l’attivismo della giovane Greta avrebbe dato il via a un vero e proprio movimento giovanile che, a livello europeo, combatte per il futuro della propria generazione sulla Terra. 

I dati parlano chiaro: secondo quanto riportato dall’Agenzia europea dell’ambiente, il cambiamento climatico è già in atto e per fermarne i catastrofici effetti l’unica possibilità è quella di ridurre del 50% rispetto ai livelli del 1990 le emissioni globali di gas a effetto serra entro il 2050. Come è naturale osservare, è assai probabile che per quell’anno buona parte dei politici ad oggi incaricati di sviluppare politiche ambientali non sarà più nelle condizioni per testimoniare l’effettivo impatto che l’aumento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacci avranno sul Pianeta e i suoi abitanti. «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla Terra», scriveva il filosofo Hans Jonas nel 1979. A quaranta anni di distanza quello che sarebbe dovuto diventare il nuovo imperativo dell’etica della responsabilità giace, se non nel dimenticatoio, certamente lontano dai programmi politici e dalle agende dei governi. In quest’ottica il cambiamento climatico assume sempre più i caratteri di uno scontro generazionale tra adulti incapaci di pensare la realtà in un orizzonte di lungo periodo e giovani preoccupati ma non necessariamente in grado di esprimere le proprie istanze attraverso i tradizionali sistemi di voto. 

Alla vigilia delle elezioni europee di maggio la sottoscrizione dell’accordo di Parigi del 2015, attraverso cui l’Unione Europea e gli Stati membri dell’ONU si impegnavano a contenere il riscaldamento globale entro due gradi dai livelli pre industriali, è storia passata. Al contrario l’ascesa di partiti populisti di destra ha portato la classe politica ben distante da tematiche ambientali, sostituendo agli impegni presi nel 2015 atteggiamenti che si affermano sempre più come forme di vero e proprio negazionismo. Se da un lato dunque permangono le posizioni scettiche della politica, dall’altra il ritmo serrato delle manifestazioni giovanili attira sempre più l’attenzione dell’opinione pubblica su quello che potrebbe presto tramutarsi in un disastro ambientale. Se i partiti non saranno in grado di rispondere alle richieste mosse dal movimento Fridays for Future della Thunberg, la perdita di  credibilità agli occhi dell’elettorato di entrambe le parti sarà inevitabile. Nella lotta all’indifferenza i giovani militanti, sostenuti dal mondo scientifico, propongono infatti una contestazione libera da connotazioni ideologiche facendo leva piuttosto sui principi fondanti della democrazia. 

Il problema dei politici con i cambiamenti climatici è semplice: non è un problema presente o che si potrà imputare loro quando ancora saranno in vita. In questo preoccupante scenario non rimane che augurarsi che l’esercito della speranza, guidato dalla voce della giovane Greta, sia in grado di imporre il buon senso alla maggioranza avendo così la meglio sull’egoismo di una minoranza che, posta di fronte al preoccupante innalzamento delle temperature, continua a difendere i propri interessi economici.