«Sì, grazie, ci invii una mail»: la ricerca del lavoro oggi

Si è passati dall’andare porta a porta a lasciare il proprio curriculum vitae ad ogni azienda, a cercare lavoro inviando mail. Siamo ancora in una fase transitoria e fuori dai negozi non è inusuale trovare l’indicazione di presentare direttamente il proprio curriculum, munito di foto, oppure inviarlo all’indirizzo tal dei tali. Si sottolinea la necessaria presenza di foto, altrimenti come sarà possibile riconoscere la persona e verificare la sua bella presenza?! Non certo vedendola direttamente, a quanto pare.

Effettivamente, mettendosi dalla parte del datore di lavoro o di chi si occupa della ricerca di personale, è possibile capire che realizzare una serie di colloqui porterebbe via molto tempo e sono in pochi nella nostra società a poter dire di averne. Perciò, il processo viene snellito tramite via telematica. Alcune aziende hanno anche una pagina dedicata a questo, con caselle dove inserire i propri dati, magari lo spazio per scrivere le proprie motivazioni e, infine, la calorosamente consigliata possibilità di allegare il proprio curriculum vitae, sempre preziosamente arricchito dalla nostra graziosa foto. Foto, aprendo una piccola parentesi, che deve rispettare canoni rigidi quasi quanto quella per il passaporto, senza avere le dimensioni di un riduttivo francobollo né tanto meno di un narcisistico quadro.

Norme altrettanto rigide sono dettate per il principale documento in questione, il curriculum vitae, il quale deve, in qualche modo, essere chiaro, pulito e semplice, ma completo, personalizzato e che in qualche modo spicchi tra gli altri pur seguendo lo stesso schema. La prima selezione passerà proprio dall’aspetto a una prima occhiata di quei simpatici fogli che dovrebbero riassumere la nostra persona e, possibilmente anche tutto quello che diremmo o faremmo se fossimo presenti. Una volta compilato, eccoci pronti a premere invio, ancora tesi nell’ansia di aver controllato bene il tutto e di non essere per un qualche motivo fuori tempo o fuori luogo. Siamo coscienti di stare presentandoci per la prima volta e sappiamo che le prime impressioni contano, o almeno così ci è stato detto infinite volte. E via, in un attimo di maggiore decisione, inviamo.

Poi, comincia. Inizia la lunga attesa del «chissà se avrò inviato all’indirizzo giusto, chissà se lo leggeranno, se si faranno quattro risate, se per un qualche insensato motivo la mia mail finirà in spam, chissà…». La speranza è che, con la stessa gentilezza con cui ci hanno chiesto di inviare tutto questo e la stessa espansività con cui magari presentavano la propria azienda in pubblicità e mission scritta sul sito, siano anche altrettanto cordiali da risponderci. Così come noi abbiamo inviato loro cordiali saluti.

Pausa, vuoto, perché qui le esperienze sono le più variegate. Tra le mille, c’è anche la possibilità che ci richiamino per un colloquio e, visto che tutto è possibile, c’è persino quella che ci rispondano per ringraziarci della disponibilità, ma dicendoci che la loro ricerca del personale si è già conclusa. Poi ci sono tutte le altre opzioni, fra cui predomina il silenzio di perdizione. Quello in cui si arriva persino a chiedersi se quella mail sia mai arrivata da qualche parte e a quel punto sia stata letta. Fantasie sulle reazioni di chi (forse) l’avrà ricevuta e vista. Tutti i nostri dati e magari anche i nostri poemi sul chi siamo e perché siamo interessati a quel lavoro, tutto questo materiale affonda nel mare di informazioni del mondo. Approdato chissà dove, ancorato in chissà quali coordinate geografiche. Ormai aveva vita propria, dovendoci sostituire e rappresentare. Un po’ ci dispiace, ma siamo già pronti a inviare una vagonata di altri emissari, affinché la legge della probabilità ci appoggi e da qualche parte arrivi una risposta. A quel punto, forse, ci passerà per la testa l’idea di rivolgerci ad un’agenzia del lavoro, lì almeno avremo a che fare di persona con delle persone, cosa diventata un lusso, ormai.