Spezziamo un quorum a favore del referendum

Non è intenzione di chi vi scrive entrare nel merito del referendum consultivo sull’autonomia che si è celebrato nella giornata di ieri nelle regioni di Lombardia e Veneto. Ci soffermeremo, invece, su un elemento che, per eccellenza, contraddistingue la votazione referendaria, vale  a dire il quorum,  il numero di partecipanti necessario affinché una votazione sia valida, fissato al 50,01% degli aventi diritto.

Indagandone la ratio legis, apprendiamo che esso fu previsto, escludendo il referendum costituzionale di tipo confermativo, per incrementare l’interesse da parte dei cittadini e accendere un dibattito vivace all’interno dell’opinione pubblica. Questo avvenne, ricordiamo, in un momento storico in cui, per ricevere informazioni, era necessario recarsi ad assistere ai cinegiornali o ad acquistare un giornale. Solo i più fortunati, infatti, possedevano una radio in casa, mentre la televisione, nell’immediato dopoguerra, ancora non esisteva in Italia. Bisognava, perciò, attirare l’attenzione del popolo facendo presente che, se un numero massiccio di italiani non avesse partecipato alla consultazione, essa non avrebbe prodotto alcun effetto. Inoltre, il rischio che la fatidica soglia non si raggiungesse era considerato irrilevante, dato che l’affluenza, in quegli anni, registrava livelli altisonanti (89,08 % il 2 giugno 1946, una media del 92% tra il 1948 e il 1976).

Tuttavia, nell’epoca odierna, il fenomeno dell’astensionismo è via via lievitato, complice una consistente sfiducia nella classe politica, soprattutto dopo i fatti di Tangentopoli. Così, il quorum sembra ormai merce d’antiquariato, un elemento che stona col nostro modo di vivere la realtà e la vita politica. Oggi siamo infatti tempestati da notizie e approfondimenti (se di qualità, questo è in discussione) ad ogni ora del giorno e attraverso qualunque apparecchio tecnologico su cui noi ci sintonizziamo: insomma, solo chi rifiuta volontariamente di accostarsi all’informazione rimane totalmente all’oscuro delle vicende istituzionali e delle materie referendarie.
Perciò, tornando all’appena tenutosi referendum, da cui prendiamo spunto (ma potremmo anche rifarci a quello sulle trivellazioni in mare), osserviamo che il quorum (che questa volta non era previsto, però, in Lombardia) è uno strumento di scorrettezza in mano ai sostenitori del No. Essi, vediamo, non solo avevano la possibilità di esprimere la loro opinione sbarrando la casella corrispondente, ma potevano farsi valere anche non partecipando affatto, al fine di mantenere l’asticella sotto il quorum e rendere vana la votazione. Insomma, si costituisce una situazione impari tra i due schieramenti, in quanto non combattono con armi eguali, ma con due contro una. 

Questo aspetto è, certamente, la prova che anche l’astensionismo è classificabile come atto politico e non si tratta solo di disinteresse, ma non pare degno di un sistema democratico avvalersi di un mezzuccio come il non raggiungimento del 50.01% per predominare. Forse, allora, sarebbe ora di depennare questo elemento arcaico, in modo da equiparare i mezzi delle due posizioni e dare brio alla vita democratica favorendo l’affluenza.