Vince a L’Eredità per finanziare il suo scavo archeologico

Spesso i quiz televisivi sono impregnati di mediocrità e di un livello culturale piuttosto rasoterra, sia per i contenuti proposti che per, talvolta, il tenore di chi vi partecipa. Sicuramente questo non è il caso di Paolo Storchi, 32enne di Reggio Emilia,  dottore di ricerca in Topografia Antica presso La Sapienza di Roma, il quale può vantare master e numerosissime pubblicazioni. Nonostante questa brillante carriera, il suo nome ha ottenuto un’inaspettata eco (è stato intervistato da Vanity Fair e da Gramellini su RaiTre) solo in seguito alla vincita di circa 10mila euro nella trasmissione di RaiUno L’Eredità. Vi raccontiamo la sua storia perché ha intrapreso una scelta quantomeno originale: devolvere la metà del bottino conquistato al suo progetto archeologico.

Hai dichiarato di non guardare molto la TV. Perché hai deciso di diventare concorrente di un programma, allora?

Mi ha iscritto mia mamma senza che io ne sapessi niente. Un giorno, ho ricevuto una chiamata da un numero di Roma. Ho risposto pensando fosse qualcuno dall’università, invece si trattava dell’Eredità. Nell’immediato sono rimasto allibito, poi ho l’ho vista come una bella opportunità sia per far conoscere lo scavo di Tannetum in cui sto lavorando, sia per finanziarlo. Infatti, trovare dei fondi è veramente un’impresa: mi sono rivolto, negli anni scorsi, a trecento tra aziende e banche, ma il 95% nemmeno mi ha risposto. Così, ho pensato che andare in televisione fosse un modo piacevole per evitare tutta questa trafila.

Praticamente nessun concorrente in tempi recenti ha  suscitato tanto interesse. Com’è andata?

Subito dopo la puntata, c’è stato un gran clamore a livello locale. Tantissimi giornali della mia zona, come la Gazzetta di Reggio e la Gazzetta di Parma hanno scritto di me. Poi, la notizia è arrivata a La Repubblica e così la mia storia si è diffusa in tutta Italia, giungendo anche a chi non guarda la televisione. Ho ricevuto tanti messaggi di affetto sui social network.

Parlaci di Tannetum, che tanto ti sta a cuore!

Prima di Tannetum, sono riuscito a trovare l’anfiteatro e il teatro di Reggio Emilia, mentre a Palermo ho rinvenuto, oltre a questi, anche il circo. Si tratta dell’ultimo mio lavoro in ordine di tempo e deriva dalle mie ricerche di dottorato, che era incentrato sulla mia provincia, in età romana. Tannetum era proprio il fulcro del mio studio perché veniva ricordata dagli storici latini Livio e Polibio come centro celtico tra Parma e Reggio Emilia, in seguito diventato una vera e propria città romana scomparsa nella tardoantichità. Per ora, a causa del poco denaro a disposizione, abbiamo solo ritrovato un abitato compatibile con la descrizione che ci è pervenuta, della stessa cronologia e della stessa popolazione.

Qual è l’aspetto più oneroso?

È bene fare una distinzione che pochi conoscono: ci sono scavi di cooperativa, per chi lo fa come lavoro e scavi di ricerca, come il mio. Per Tannetum, le spese sono ridotte perché La Sapienza fornisce molto aiuto e anche i comuni ci sostengono. Ciò che costa veramente tanto è il vitto e l’alloggio per gli studenti che operano nel progetto. L’altra voce di spesa corposa è l’utilizzo dei macchinari che all’inizio dello scavo devono rimuovere il terreno superficiale che sicuramente non conserva più niente di antico. Inoltre, un punto gravoso è trasformare tutto questo in qualcosa di importante per il territorio, rendendolo accessibile alla popolazione restaurando e musealizzando, cosa che raramente avviene.

Ritornando alla difficoltà di raccogliere finanziamenti, si percepisce l’assenza dello Stato?

Fondamentalmente sì. L’ultimo governo ha invertito un po’ la tendenza, ma purtroppo  non è ancora sufficiente. Come ha scritto anche Tomaso Montanari, il quale ha commentato favorevolmente la mia partecipazione televisiva, davanti alla parola «cultura», in Italia c’è sempre la parola «tagli», ormai da decenni. Non si capisce che questa è una grandissima risorsa che può farci competere nel mondo. La cultura dovrebbe essere il nostro oro nero. Anche l’università fa quel che può, ma non le vengono destinati abbastanza fondi. Riesce a formare a livelli altissimi laureati e dottori di ricerca eccellenti, ma poi li si fa scappare dal nostro Paese: è un grande spreco.