Adone Brandalise: l’intellettuale si racconta

Adone Brandalise è professore ordinario di Teoria di Letteratura all’Università di Padova. Docente molto conosciuto, dal 1981 al 1986 ha lavorato a Il Centauro. Rivista di filosofia e teoria politica nel cui comitato direttivo operavano anche Massimo Cacciari, Umberto Curi, Giuseppe Duso e Giangiorgio Pasqualotto.

A cura di Tito Borsa
Chi è Adone Brandalise?
È una domanda che prevede solo risposte menzognere: nessuno è in grado di parlare di se stesso, anche con il massimo sforzo di sincerità, senza costruire qualcosa che in realtà si frappone fra ciò che sta avvenendo e ciò che egli sta diventando. Mi accingo allora a fare il bugiardo onesto. Io sono quello che faccio: una parte delle cose che faccio hanno una loro visibilità pur non meritando troppa attenzione e quindi sono senz’altro un professore discretamente vecchio che si occupa di qualcosa che sta fra la filosofia e la letteratura e che a volte finisce per attraversare altro ancora. A parte questo sono quell’interrogativo che ciascuno di noi è tutte le volte che percepisce che la sua identità inevitabilmente lo rappresenta molto parzialmente. Forse questo tipo di atteggiamento in fondo è quello da cui ricavo le mie poche risorse. Sotto questo profilo finisco per vivere utilizzando delle domande che ritengo tutto sommato delle buone domande. E questo indubbiamente produce una certa vivacità dell’esistenza, anche quando i contesti, ad un’analisi a cui non sfuggo, possono sembrare particolarmente tetri. Poi, in particolare, per quanto riguarda il mio rapporto con l’università, sono titolare di un insegnamento abbastanza strano e atipico ma, almeno spero, non del tutto inutile.

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Le domande di cui parla hanno una risposta?
In genere le domande dovrebbero produrre altre buone domande. Le domande hanno bisogno di risposte ma diffido delle risposte che sembrano buone perché uccidono la domanda. Cioè se una risposta chiede di stare zitta alla voce che ha domandato, forse non è una buona risposta. Nella maggior parte dei casi una buona risposta è una buona riformulazione della domanda. Spesso noi non chiediamo ciò che desideriamo sapere, chiediamo ciò che ci riesce di domandare. D’altro canto la nostra vita è costantemente impegnata a capire quali sono davvero i nostri desideri. Non è una cosa facile sapere cosa si desidera sul serio, così come non è facile sapere che cosa vogliamo sapere quando chiediamo qualcosa. Quindi riformulare meglio una domanda permette di vedere più cose e di percepire più vie, di vivere un po’ di più. Questo mi sembra già un discreto risultato. Bisognerebbe vivere accompagnati da buone domande. Spesso c’è la richiesta di una risposta che sia tombale, che imponga il silenzio e realizzi il cosiddetto «passaggio ai fatti», in genere questa è la tipica risposta del demagogo che, secondo il suo parere, sta facendo fatti e non parole. Ma spesso affermare questo significa fare solo parole. Bisogna al contrario essere consapevoli che c’è uno scarto fra ciò che diciamo di fare e ciò che stiamo facendo.

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Parliamo del suo corso, nel quale lei prende opere letterarie, filosofiche e cinematografiche e le confronta. Su cosa si basa questo confronto?
Io essenzialmente tendo a concepire i miei corsi con una strategia: per un verso credo che sia difficile parlare di qualcosa che non mi importi in una maniera che possa importare a qualcuno e quindi cerco di trovare un tema che mi sembri importante e che abbia un rapporto sicuro con tutto ciò che mi sento motivato a studiare; dall’altro devo far passare questo tema attraverso tutta una serie di testi che hanno senz’altro un rapporto con il tema ma che hanno poi la caratteristica di essere testi molto importanti nell’ambito del pensare la letteratura. Noi pensiamo alla letteratura non soltanto quando leggiamo, studiamo o scriviamo, forse noi facciamo teoria della letteratura anche quando attraversiamo la letteratura e riconosciamo che nelle stesse opere letterarie c’è un pensiero sulla letteratura proveniente dalle opere stesse.

Negli anni ’70 lei è stato vicino all’operaismo, esiste ancora una sinistra in Italia?
Esistono forme di mediazione politica che hanno a che fare con una tradizione riformista europea in realtà costruita intorno al welfare che è ciò che in contesti diversi dal nostro è stata chiamata socialdemocratica. Secondo me da quasi 15 anni questa prospettiva in Europa è divenuta impossibile anche se la sua impossibilità finisce per essere spesso affidata a formazioni politiche che nominalmente a quell’esperienza si richiamano. Noi abbiamo un governo di un partito che genealogicamente deriva dal Partito Comunista e dalla sinistra democristiana. Non direi che sta facendo un’effettiva politica di tradizione socialdemocratica anche perché non credo che sia più possibile. Credo che raccolga un consenso che in parte è ancora legato a quell’idea e che gli si rivolge perché nonostante tutto questo partito occupa lo spazio dove si trovava la sinistra. Un vecchio legato all’idea di un partito comunista onestamente prudente e riformista legato ad un’idea di redistribuzione del reddito e bontà dei servizi, per chi dovrebbe votare? Per Salvini? Si vota per Renzi, probabilmente con pochissimo entusiasmo. E l’alternativa è l’astensione oppure qualche entità che testimonia la necessità di un discorso alternativo e allo stesso tempo un’infinità difficoltà nel produrlo. Io credo che la sinistra, intendendo come sinistra la realizzazione dello stato democratico in una prospettiva socialista, sia sostanzialmente finita. Non credo che siano finiti i desideri che passavano attraverso queste costruzioni. Una volta si partecipava consapevoli che il proprio minuscolo contributo entrava a far parte di una dinamica complessa a partire dalla quale si produce la posizione del partito che se vince va al governo e produce una politica che ritorna fino a me. Questa cosa oggi è palesemente irrealistica: il potere vero sta sopra quello dello stato. E i partiti di sinistra erano quelli che si affidavano maggiormente al fatto che questo grande lavoro di formiche alla fine fosse giustificato. Tutto questo non è più attuabile e allora si apre un problema: in che modo si sta all’interno dei processi?