Il M5S entra nel Governo Draghi e la base ribolle. Parla un attivista del NO, Luca di Giuseppe

Il crollo della roccaforte giallorosa, l’appello all’unità nazionale del Presidente Mattarella e l’ingresso solenne di Mario Draghi hanno accoltellato in una manciata di giorni la Terza Repubblica.
Dopo 987 giorni alla guida del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, l’avvocato del Popolo, ha lasciato il Palazzo ed è tornato alla vita del professore di diritto.
Il Movimento, inizialmente schierato con la più radicale delle posizioni, il rifiuto assoluto di partecipare ad un governo Draghi, ha lentamente sciolto i ranghi, ha rinunciato alla strada delle elezioni, fino a condurre, con il clamoroso ritorno di Beppe Grillo, una trattativa con l’uomo dell’establishment, il personaggio che da Direttore Generale del Tesoro contribuì all’avvio della stagione delle privatizzazioni e della crisi dei derivati, da Governatore della Banca d’Italia autorizzò Monte dei Paschi di Siena all’acquisizione di Antonveneta, da Presidente della Banca Centrale Europea fu organo della Troika e suggeritore del Fiscal Compact.
Ora il Movimento si appresta a condividere l’azione di governo con le menti più esperte e competenti, con i migliori, con il glorioso trittico Brunetta-Gelmini-Carfagna e, per tal ragione, affronta la fase più complessa della propria storia, travolto dall’abbandono di Alessandro di Battista, dai venti di scissione e dai parlamentari ribelli, non disponibili ad accordare la fiducia al Jurassic Park, il governo della Restaurazione.

La base ribolle.
Il rischio, poi rivelatosi amara certezza, di condividere l’azione di governo con gli uomini e le donne del pluripregiudicato Silvio Berlusconi, ha orientato il 40,7% degli attivisti verso il No a qualsiasi esperienza draghiana, ma, soprattutto, ha stimolato il dissenso verso la linea governista dei Vertici , la contrarietà a qualsiasi opportunità di compromesso al ribasso, l’appello accorato ad un ritorno alle origini, ai valori fondanti.
Mentre i massimi esponenti si cimentavano in dirette televisive e social, volte ad indirizzare gli iscritti verso il Sì, un gruppo di quaranta attivisti, esigua truppa di soldati semplici, ha raccolto ben 1000 persone in un’accesa riunione su Zoom, dove anche parlamentari e consiglieri regionali hanno ascoltato ed argomentato le ragioni del No.
È nato, così, il meeting V-Day 2021.
Noi abbiamo contattato il suo principale ideatore, Luca di Giuseppe, 23 anni, salernitano, studente di Giurisprudenza, facilitatore regionale per le relazioni esterne.
Luca, che è entrato nel primo meetup nel 2014, all’età di 15 anni, ha condotto con il simbolo del Movimento una battaglia estremamente significativa per la sua comunità locale, quella contro l’impatto ambientale delle Fonderie Pisano, antichissima azienda produttrice di ghisa, da lungo tempo al centro di inchieste sullo smaltimento illecito di rifiuti speciali e altri reati ambientali di gravissima entità.
Nel 2020, ha favorito l’intermediazione tra il Comitato Salute e Vita, protagonista di azioni di lotta contro le Fonderie, e Sergio Costa, Ministro dell’Ambiente nei governi Conte, ma ha anche espresso forti critiche nei confronti della classe dirigente pentastellata.
In occasione della sconfitta del M5S alle elezioni regionali in Campania, Luca ha, infatti, apostrofato l’ex capo politico del Movimento, Luigi di Maio, come principale responsabile della debacle, un’opinione che ancora oggi si sente di rivendicare.

Con la tua iniziativa «V-day: NO al Governo Draghi» hai fatto parlare di te e hai attirato anche l’attenzione di molti portavoce del M5S.
Tra questi il vice-presidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo, ma anche l’europarlamentare Tiziana Beghin, che hanno definito la divisione tra D-Day e V-Day uno spettacolo indecoroso.
Come rispondi a questa osservazione?

È stata una bella iniziativa, perché abbiamo creato uno spazio di dibattito, nel quale dare possibilità di espressione a chi aveva un’idea diversa rispetto a quella promossa dagli esponenti maggiori del Movimento. Prima di un voto urge un dibattito, non la prevalenza di un’unica linea, tra l’altro smentita alla prova dei fatti: il super-ministero della Transizione Ecologica, così come prospettato, ad oggi non esiste nella compagine di governo.

Nonostante il vostro enorme impegno nella campagna per il NO, il SÌ ha vinto su Rousseau con una percentuale del 59,3%. Il Movimento entrerà nel governo con 4 ministri e un numero non precisato di sottosegretari, ma, avendo al tavolo una composizione assai più variegata di quella del Conte-1 e del Conte-2. Dovrà, infatti, interloquire non solo con i compagni dell’avventura giallorosa (PD, LEU, IV), ma dovrà anche ritrovare il vecchio alleato Matteo Salvini, e, soprattutto, dovrà sedersi al tavolo con gli esponenti di Forza Italia.
Sfumata l’opzione del ritorno all’opposizione, il M5S è di nuovo forza di maggioranza.
Allora, ti chiedo, in che modo il M5S potrà esercitare al meglio il suo ruolo di guardia?
Basterà porsi come forza leale e responsabile, disponibile al dialogo? Oppure, nell’assenza di un reale fronte parlamentare di opposizione, sarà anche anche chiamato a operare paradassolmente da forza (sui generis) di opposizione?

Credo che difficilmente il M5S potrà portare avanti le proprie battaglie storiche, seduto al fianco di Brunetta e Gelmini. Pensiamo alle riforme della Giustizia, il primo tema che il Movimento, a mio parere, dovrebbe porre sul tavolo di Draghi. Sarà impossibile imporle.
Io, personalmente, rispetto ad un governo dove è ministro Brunetta, sarò sempre all’opposizione.

Nella recente riunione su Zoom, una delle principali ragioni del fronte del NO, che tu stesso, così come portavoce navigati come Barbara Lezzi, avete articolato è stata la seguente:
nei precedenti governi, il M5S, pur essendo forza di maggioranza relativa in Parlamento, pur avendo indicato il nome del Presidente del Consiglio, con difficoltà è riuscito a incidere e a risultare dominante.
Pensi che quest’assenza di dominanza sia da imputare a errori strategici e/o comunicativi?

Gli errori commessi sono stati sia di natura strategica che di natura comunicativa, perché nel Conte 1 saremmo dovuti essere più duri, avremmo dovuto adottare la strategia comunicativa di assalto a Salvini, usata durante le elezioni europee del 2019, sin dall’inizio dell’esperienza di governo. Siamo sembrati, invece, non fortissimi agli occhi dell’opinione pubblica, anche se, in realtà, ciò non corrispondeva ai veri rapporti di equilibrio.
Nel Conte 2 non ci sono stati particolari errori comunicativi, però, secondo me, proprio durante la sua fase finale, la gestione della crisi di governo e di Renzi si sarebbe dovuta svolgere in maniera più incisiva, con l’assunzione di una decisione definitiva: o Conte-ter oppure il ritorno al voto.
Il M5S ha ottenuto il 33% nel 2018, aveva e ha il diritto di esprimere il Presidente del Consiglio.

Guardando al futuro, Luca si aspetta che il percorso intrapreso dal Movimento sarà quello tracciato dagli Stati Generali, di cui dice di non condividere tutti gli elementi messi a punto e prevede, differentemente dall’impressione generale, che Conte mai entrerà nel M5S come leader o membro della leadership collegiale.

Intanto, per la base degli attivisti, per i parlamentari eletti, per i ministri e sottosegretari, per il garante Beppe Grillo, si prospettano tempi terribili. Molti ritengono di assistere alla fine, altri pensano di arrestarla con un colpo di scena: il voto contrario o l’astensione alla fiducia.

Conte dall’esterno osserva e sembra gridare: «Io non ho finito. Noi non abbiamo finito».