A prescindere dai genitali, possiamo fare ciò che ci pare

In Italia le donne che negli ultimi anni si sono portate a casa una laurea sono in proporzione più degli uomini e se a riportarlo è l’Istat e non la lobby femminista che tanti temono, forse vale la pena crederci. Anche le donne insomma sono in grado di concludere un percorso di studi terziario e di riuscirci nonostante i Pillon di turno che le vorrebbero a casa ad accudire i figli o, se proprio devono investire nel proprio intelletto, immerse nello studio di materie più conformi al loro innato senso materno. In fin dei conti dal punto di vista dei detrattori della donna emancipata torna tutto: se alle bambine regaliamo la cucina giocattolo e ai maschietti insegniamo ad erigere ponti e grattacieli fin dalla tenere età, perché una volta cresciuti aspettarsi che le prime possano diventare ingegneri di successo e i secondi preferire una carriera in ambiti in cui le ore trascorse a giocare con le costruzioni servono a ben poco?

L’Università di Bari ha proposto nelle scorse settimane di abbassare le tasse per le studentesse che desiderassero immatricolarsi nelle cosiddette facoltà STEM, per capirci quelle di ambito scientifico in cui una ragazza non può mettere piede senza aver prima sostenuto gli sguardi giudicanti e i consigli non richiesti di parenti e sconosciuti e in cui non sarà mai presa seriamente se non dimostrerà un quoziente intellettivo ampiamente superiore a quello della media dei suoi colleghi maschi. Il binomio donna e scienza fa ancora storcere il naso a molti: il senatore leghista Pillon non ha perso tempo e ha subito puntato il dito contro la lobby del gender che, come al solito, vorrebbe deviare il corso naturale della storia e, udite udite, permettere alle studentesse che lo desiderino di iscriversi a facoltà scientifiche ad un costo inferiore. 

Quello che stupisce sempre delle dichiarazioni pubbliche del senatore leghista non è tanto il contenuto, che ad essere sinceri è diventato piuttosto monotono, quanto invece le argomentazioni su cui l’intera dialettica è fondata. Dai discorsi di Pillon e di molti altri non emerge mai, ad esempio, un riferimento al principio meritocratico su cui si potrebbe invece ampiamente discutere e su cui si potrebbe impostare un confronto senza dubbio più costruttivo sulle disuguaglianze e l’equità. In altre parole: si sarebbe potuto discutere sulla legittimità o meno di predisporre una diversificazione di prezzo nelle tasse universitarie per donne e uomini interessati alle facoltà STEM, del fatto che questa scelta potesse fungere da incentivo efficiente o meno all’aumento della quota femminile tra i banchi di fisica e ingegneria informatica, ma in nessun modo si può discutere sul fatto che vi siano percorsi di studio naturalmente femminili e percorsi di studio naturalmente maschili. 

I tempi in cui le teorie essenzialiste ci insegnavano che le differenze di genere sono prima di tutto un fatto di natura sono passati, la scienza ci ha insegnato che, fatta eccezione per evidenti differenze biologiche ed anatomiche, le attitudini e le preferenze delle persone hanno poco a che fare con la genetica. Quello che deve entrare in testa a Pillon e a quanti la pensino come lui è che se c’è una natura da rispettare questa è quella individuale della persona che, a prescindere da cosa si trovi tra le gambe, della sua vita fa quello che le pare.