Alicia, prostituta per sopravvivere

Alicia (nome di fantasia) mi riceve nel suo appartamento di periferia. Ho deciso di contattarla dopo averla trovata in uno di quei tanti siti di annunci in cui moltissime donne si mettono in vendita. Quando le dico che non sono un cliente si spaventa: crede che sia della polizia. Parla un italiano molto stentato e per comunicare ho dovuto utilizzare quel poco che so di spagnolo.
Alicia ha ventisette anni ed è venezuelana. Dopo un’esperienza di un paio di anni in Spagna come cameriera, due mesi fa è arrivata legalmente a Padova chiamata da un’amica di vecchia data che ha sposato un italiano. È stato proprio il marito della sua amica a trovarle questo appartamento anticipando il primo mese di affitto. Durante questo mese Alicia ha cercato lavoro come donna delle pulizie, barista o cameriera ma senza successo. Così, quando ha dovuto pagare la seconda mensilità (e restituire la prima), è stata costretta a prostituirsi. «Lo faccio per sopravvivere e per la mia famiglia a cui alla fine di questo mese manderò i primi soldi. Ora mia madre e una delle mie due figlie vivono in Colombia. Ho promesso di aiutarle e questo adesso è l’unico modo che ho di farlo».

pro
L’appartamento è composto da due stanze molto piccole arredate con il minimo indispensabile. Le tapparelle sono calate giorno e notte, l’aria viziata fa mancare il respiro. Nel palazzo ci sono tanti altri appartamenti, due dei quali fungono da uffici: «Sanno benissimo cosa succede qua dentro e ogni volta che esco mi guardano come se fossi la persona peggiore sulla terra. Due uomini che lavorano qua sopra sono diventati clienti fissi». E, a proposito dei clienti, ci racconta: «Ne arrivano di tutti i tipi: dai distinti signori anziani ai ragazzini inesperti che cercano un’avventura da raccontare agli amici, viene anche un uomo che appare spesso sui giornali. E, a parte il sesso, c’è chi vuole che gli racconti la mia vita, che vada al ristorante con lui e c’è un signore che ogni settimana viene perché vuole che gli canti una canzone venezuelana».
«Odio questo lavoro, la sera mi devo fare una doccia lunghissima per togliermi quella sensazione di sporcizia che mi accompagna per tutto il giorno. Lo faccio per le mie figlie, sono loro a darmi la forza di continuare, senza di loro non so cosa farei».
Il telefono suona e capiamo che la conversazione sta per finire: è in arrivo un cliente, il primo della giornata. Saluto Alicia augurandole buona fortuna e mi dirigo fuori, sperando che l’aria fresca di marzo mi aiuti a superare la tristezza che ho dentro dopo aver parlato con lei.

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