Alla ricerca di soluzioni innovative: packaging alimentare ad azione antimicrobica

Negli ultimi anni vi è stata una crescente richiesta di prodotti alimentari che presentino una  shelf-life prolungata ed elevate qualità organolettiche, ciò ha spinto la ricerca verso soluzioni innovative per il controllo attivo della sicurezza e della qualità del prodotto. In particolare, si distingue la categoria degli imballaggi funzionali. Tra questi spiccano gli imballaggi attivi per la loro capacità di interagire direttamente con l’alimento e l’atmosfera del prodotto confezionato, rilasciando sostanze protettive o assorbendone delle altre che ne accelerano il decadimento. Questi sistemi sono oggetto di interesse da parte dell’industria alimentare, in quanto il deperimento degli alimenti in seguito a contaminazione microbica post-processo non rappresenta solo un fattore di rischio per la salute, ma anche una consistente perdita dal punto di vista economico.

Le tecnologie di conservazione convenzionalmente impiegate consistono nell’additivazione di grandi quantità di antimicrobico sulla superficie del prodotto, provocando una rapida diffusione dell’agente attivo all’interno della matrice alimentare consentendo una immediata distruzione di gran parte delle cellule patogene, non sono però in grado di controllare la crescita della massa microbiologica che sopravvive e che potrebbe rigenerarsi dopo l’esaurimento dei residui dell’antimicrobico. Un’alternativa promettente è rappresentata dall’incorporazione della fase attiva all’interno di un film polimerico, che funge da carrier per il rilascio graduale e controllato dell’antimicrobico durante la conservazione e la distribuzione dell’alimento confezionato. Questa strategia non solo consente di usare una quantità di antimicrobico minore rispetto ai quantitativi impiegati con il metodo standard, ma consente anche di progettare delle configurazioni su misura, a seconda delle esigenze di conservazione del singolo alimento. Importante non sottovalutare la scelta dell’antimicrobico e il quantitativo da utilizzare.

Sono stati effettuati studi sia sulle matrici polimeriche che sulle tipologie di antimicrobici da poter incorporare come fase attiva.Per quanto riguarda le matrici, sono stati analizzati molti materiali come l’EVOH (etilen-vinil alcol), vari biopolimeri a base di Zeina ed a base di Chitosano (un polisaccaride ad intrinseca attività antimicrobica ottenuto a partire dell’esoscheletro di crostacei e in particolar modo dei granchi) e sul PET biodegradabile, materiale molto promettente per le proprietà fisico-chimiche che lo contraddistinguono e per poter garantire poi a fine vita dell’imballaggio anche un corretto smaltimento, rendendo il processo eco-friendly. Oltre alle matrici anche un ampio scettro di composti ad attività antimicrobica sono stati oggetto di studio e di ricerca. Tra questi spiccano le sostanze naturali tra cui gli oli essenziali che tuttavia, pur essendo  molto promettenti, sono caratterizzate da un forte odore che potrebbe modificare le caratteristiche organolettiche dell’alimento confezionato. Uno degli antimicrobici più innovativi e promettenti è il LAE (etil-nalpha-dodecanoil-L-arginato) ,  un derivato dell’acido laurico, L-arginina ed etanolo che ha mostrato un ampio spettro di attività antimicrobica contro batteri Gram positivi e Gram negativi, nonchè lieviti e muffe. È classificato come GRAS (generalmente riconosciuto come sicuro) e come conservante alimentare dalla FDA (food and drug administration). È chimicamente stabile, ha un basso costo e non fornisce alcun sapore o odore, in conformità con il regolamento europeo sui materiali di imballaggio attivi per gli alimenti.

Particolare attenzione va riservata alle tipologie di incorporazione dell’antimicrobico all’interno della matrice stessa, infatti l’impiego di una tecnologia rispetto ad un’altra può avere effetti sul rilascio dell’agente antimicrobico.In particolar modo, le temperature elevate impiegate nel melt compounding potrebbero causare la degradazione di una fase attiva termosensibile, mentre l’immobilizzazione attraverso legame covalente richiede una certa interazione chimica tra la superficie del packaging e l’attivo, invece l’incorporazione in strutture multistrato potrebbe rendere più difficile e lenta la diffusione dell’attivo verso l’alimento. Una tecnica molto premettente è rappresentata dal coating, una tecnologia facile da applicare, veloce e con la quale si evita il raggiungimento di temperature tali da poter danneggiare o denaturare l’antimicrobico. L’agente, inoltre, con questa tecnologia viene incorporato in uno spessore sottile sulla superficie del substrato, rimanendo quindi in superficie pronto ad esplicare la sua funzione.

In conclusione, è importante non sottovalutare lo studio delle cinetiche di rilascio dell’antimicrobico, per poterne valutare la capacità di inibizione microbica richiesta. Queste considerazioni aprono la strada a nuovi studi più approfonditi, da incentrare sull’ottimizzazione dei sistemi prodotti per quanto riguarda lo spessore del coating e il contenuto della fase attiva, in modo da poter garantire dei sistemi di imballaggio attivi sempre più funzionali.