Banche, ancora guai: chi compra Monte Paschi di Siena?

La storia infinita della situazione bancaria italiana sembra non vedere mai uno spiraglio di luce in fondo al tunnel. Già negli ultimi articoli vi avevamo parlato di come la situazione si stesse ingarbugliando sempre di più, e a oggi le cose non sono cambiate in meglio.

montepaschisiena

Ecco che in questi giorni uno dei capitoli che si pensava di aver finalmente risolto e archiviato non è riesploso nelle mani di chi lo aveva riposto nel dimenticatoio: le banche che erano state salvate dal governo nel novembre 2015, prima dell’entrata in vigore del bail-in, non stanno migliorando, anzi, sembrano vertere in una situazione drammatica.
Infatti i conti delle quattro banche, che costituiscono circa l’1% del sistema bancario italiano, sono peggiori di quanto era stato previsto e auspicato e a causa di questo scarso rendimento i possibili compratori che dovrebbero rilanciarle o cercano di defilarsi dall’affare o propongono cifre bassissime.
Del resto chi investirebbe su un prodotto che non rende e si è svalutato quasi del tutto a livello commerciale? Ma l’obiettivo del governo era proprio questo: salvare le quattro banche e rilanciarle nel mercato.
Per questo si è pensato di scorporare gli istituti in questione in due parti: una good bank in cui è rimasta la «parte sana» dei conti delle banche e una bad bank dove sono stati messi tutti quei non performing loans, ovvero tutti quei crediti che ormai non possono più essere ripagati, con lo scopo di riuscire a disfarsi della parte contaminata e tossica vendendo tali perdite nel mercato depurando così gli istituti bancari in questione che sono liberi così di ripartire da zero.
In questo caso specifico a Etruria e alle altre banche sono state anticipate quattro annualità, ovvero 2,3 miliardi sono arrivati dal sistema del credito e 1,4 miliardi sono stati dati dal cosiddetto «prestito ponte» formato da Banca Intesa, Unicredit e Ubi Banca sotto la garanzia della Cassa Depositi e Prestiti. Inoltre tale prestito andrebbe ripagato entro l’anno e forse non si sa se le banche ne saranno in grado.
I ricavi finali attesi dovrebbero essere pari a 3,6 miliardi che dovrebbero provenire appunto dalla vendita degli istituti e delle sofferenze.
Nonostante tutti i buoni propositi, i conti sono ancora in rosso e la vendita programmata non sembra rispecchiare le attese.
Fortunatamente un acquirente pronto a comprarle ci sarebbe: Ubi Banca. Sfortunatamente la Bce ha comunicato a Victor Massiah, Ceo di Ubi, che per portare a termine l’acquisto è necessaria una ricapitalizzazione di 600 milioni, necessaria per mettere in sicurezza gli istituti, somma che la banca non possiede.
In questo momento un aiuto arriva dalla legge di bilancio e la soluzione a tutti i problemi sopraggiunge grazie all’art. 76 che contiene una «norma interpretativa» che si è rivelata una preziosa scorciatoia: secondo questa norma, infatti, il piano di salvataggio di un istituto bancario può essere modificato in corsa e all’occorrenza possono essere spesi altri soldi per rimettere in sesto tale banca.
In questo caso specifico secondo la legge di bilancio le banche italiane sono costrette a versare 600 milioni, ovvero fortunatamente la somma necessaria a Ubi per l’acquisto delle 4 banche.
Del resto qualcuno deve colmare la voragine necessaria a risanare tali istituti se si vuole che qualcuno li compri.
Ma i problemi non si fermano certo qui. Un’altra situazione che preoccupa il governo e gli investitori è quella di Monte Paschi di Siena, che nei primi mesi di quest’anno ha creato una voragine di perdite raggiungendo un rosso di 849 milioni da sommare ai 750 milioni dovuti a rettifiche straordinarie sui crediti, inoltre i ricavi anziché salire come si era auspicato sono calati del 16,6%. Tutto ciò sottolinea una situazione vacillante e incerta ed è proprio per questo che le trattative per vendere l’istituto centrale della banca sono a rischio.
Secondo i vertici dell’istituto bancario, Monte Paschi si rialzerà e gli addetti ai lavori hanno già in mente un piano d’attacco per far rifiorire la banca.
In primis i dirigenti vorrebbero applicare un taglio di 2.600 dipendenti, poi in un secondo tempo è programmata un’accelerazione del processo di digitalizzazione e una migliore gestione del credito.
Le acquirenti JP Morgan e Mediobanca vogliono delle garanzie sulla vendita dei crediti deteriorati e vorrebbero la sicurezza che qualche altro grande investitore si prenda carico dell’acquisizione.
L’unico altro compratore che si era offerto è Corrado Passera, ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo ed ex ministro dello sviluppo economico nel governo Monti, ma che nella giornata dell’1 novembre ha ritirato la proposta a causa della chiusura della banca che ha negato a Passera una due diligence sui conti dell’istituto, ovvero un totale resoconto dei dati di bilancio di Monte Paschi.
Inoltre nella relazione dell’assemblea sull’aumento di capitale è dichiarata l’intenzione di congelare qualsiasi decisione fino all’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre.
Il vero dramma è che i troppi sassolini che si stanno smuovendo potrebbero portare ad una frana incontrollabile: avere capitoli chiusi come quelli sulle quattro banche salvate che si riaprono all’improvviso portando problemi e avere una banca sistemica molto importante come quella di Mps nei guai non sembrano delle buone premesse che ci permetteranno di dormire sonni tranquilli.