Bonafede, regista mancato

Lunedì 14 gennaio 2018 è rientrato in Italia Cesare Battisti, un ex terrorista, un assassino pluriomicida, condannato in contumacia alla bellezza di due ergastoli e latitante da quasi 40 anni.
È sceso dall’aereo, con il quale era stato prelevato in Bolivia, accompagnato dagli uomini della speciale task force internazionale costituita appositamente per assicurarlo alla giustizia, e una volta giunto su suolo italiano, è stato accompagnato dalla Polizia ad effettuare i controlli e svolgere le formalità del caso, prima di essere accompagnato definitivamente nel carcere di Oristano dove era stata preparata una cella di massima sicurezza apposta per lui.
Un successo straordinario, figlio del lavoro pluriennale di diversi esecutivi succedutisi nel tempo, grazie al quale il nostro paese ha finalmente potuto rendere giustizia alle vittime di Battisti.
Finalmente tutto è finito, avranno pensato gli osservatori meno accorti.

Invece no.
Neppure ai più distratti ossevatori in crisi post-prandiale può essere sfuggita, infatti, la triste scenetta di stampo medievale messa in piedi dai Ministri della Giustizia e dell’Interno Bonafede e Salvini.
In mezzo a orde di cronisti urlanti e davanti a milioni di spettatori in estasi, è andata in onda quella che senza dubbio può essere definita come pagina triste della giustizia italiana, quando i due ministri hanno fatto sfoggio della preda appena catturata come fosse un trofeo, gareggiando l’un l’altro su chi dovesse intestarsi le glorie maggiori e proponendo non una, ma ben due conferenze stampa sull’argomento.
Certo, l’arresto di un criminale di tale stampo è un evento importante, ma siamo sicuri che la macchina della giustizia, che dovrebbe essere super partes, decorosa e soprattutto sobria per antonomasia, possa permettersi un teatrino del genere in un paese nel quale ad esempio ancora non si è pervenuti ad una condanna per i responsabili della strage di Piazza Fontana o all’arresto di Matteo Messina Denaro, che scorrazza libero come Heidi e le sue caprette sul nostro territorio?

Parrebbe di no, ma il tutto sarebbe anche scusabile, se poi Bonafede (avvocato, tra l’altro) non avesse fatto diffondere dal Min. della Giustizia un video degli highlights dell’atterraggio con tanto di musichetta.
Recita infatti l’art. 114 del Codice di Procedura Penale al suo comma 6 bis: «È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta».

Ecco, in un paese nel quale la fiducia nella giustizia da parte dei cittadini è ai minimi storici, questa è l’esatta rappresentazione fisica di cosa non dovrebbe fare un Ministro della Giustizia: gioire, bearsi e usare come squallida propaganda giustizialista un essere umano, per quanto becero egli sia.
Infatti, anche l’Unione delle Camere Penali ha tuonato in merito alla vicenda: «Quanto accaduto in occasione dell’arrivo a Ciampino è una pagina tra le più vergognose e grottesche della nostra storia repubblicana. È semplicemente inconcepibile che due ministri del governo di un Paese civile abbiano ritenuto di poter fare dell’arrivo in aeroporto di un detenuto, pur latitante da 37 anni e finalmente assicurato alla giustizia del suo Paese, una occasione, cinica e sguaiata, di autopromozione propagandistica».

Attacchi all’operato di Bonafede sono pervenuti sia dal sindacato della Polizia Penitenziaria che ha aspramente criticato la pessima scelta del Ministro (la quale, si ipotizza, ha esposto anche agenti sotto copertura a numerosi pericoli, facendoli comparire in video) sia da numerosi esponenti del mondo politico.
Una figura degna del peggior novellino quella del Guardasigilli, per il quale adesso potrebbe addirittura prospettarsi una denuncia per la violazione della suddetta norma di legge.
Ma non è nemmeno questo il punto.

Ciò che preme sottolineare è che, in un’Italia strapiena di problemi, che vede le proprie carceri straripare e delinquenti a piede libero, non si sentiva alcun bisogno di spettacolizzare la cattura di Battisti.
Insomma, parliamoci chiaro: che Cesare Battisti passi tutto il resto della sua vita in un carcere italiano è auspicabile, giusto e assolutamente tardivo.
Tuttavia, uno Stato che si rispetti non cerca vendette e non pronuncia sentenze in una pubblica piazza con il condannato alla gogna ed esposto al pubblico ludibrio.
Uno Stato di Diritto, per concludere, non è il pubblico teatrino di due ministri in crisi con la scelta dell’abbigliamento.