Bonus partite IVA ai parlamentari: colpa del decreto?

In Parlamento è bufera, quantomeno a parole, in seguito all’articolo di La Repubblica, il cui contenuto farà certamente discutere in questi giorni di ombrelloni socialmente distanziati e sogni di vacanze infanti sui conti correnti che rasentano lo zero (quando non sono in negativo). A quanto emerge, infatti, ben cinque parlamentari hanno approfittato del decreto Cura Italia per richiedere il bonus da 600 euro dedicato alle partite IVA in difficoltà a causa della pandemia.

La misura, già al centro di numerose polemiche per via del suo importo generalmente ritenuto insufficiente a tamponare due mesi abbondanti di non fatturazione, è stata erogata dall’INPS a tre membri della Lega, uno di Italia Viva e uno del Movimento 5 Stelle, doppiamente imbarazzato dal fatto a causa della propria sbandierata policy di restituzione degli stipendi e di sobrietà nell’interpretazione del ruolo di rappresentanza. Stando alle prime dichiarazioni della maggioranza, tra commenti sdegnati, inviti a uscire allo scoperto dimettendosi e intenzioni di cambiare la legge sulla privacy al fine di far dire nomi e cognomi all’istituto di previdenza, per usare un’espressione cara a questo governo, si respira un’atmosfera da caccia all’uomo. Del resto, per ragioni di opportunità, moralità e dignità delle istituzioni, non potrebbe essere altrimenti. Ricordiamo infatti che lo stipendio di un parlamentare si aggira attorno a 5350 euri netti, i quali arrivano a 14000 con la diaria e le varie voci di rimborso spese, il che, sebbene non sia legato alle professioni autonome svolte dai parlamentari, rende il bonus una tantum un inutile e rinunciabile lusso in termini di risorse globali a loro disposizione, nonché uno sfregio agli italiani in reale difficoltà economica.

Le opposizioni hanno subito preso la palla al balzo per criticare l’intervento in sé, spostando la responsabilità sul Governo e trovando buona sponda nel substrato di perenne indignazione social. Mentre Forza Italia ha criticato l’intero impianto normativo dei bonus e Meloni ha lanciato una campagna social per aggirare la reticenza dell’INPS, sono emerse le dichiarazioni in merito di Salvini, il quale, dopo aver tuonato in un primo momento chiedendo le dimissioni, salvo virare per la sospensione una volta emerso che ben tre dei cinque furbetti appartengono al suo partito, ha sottolineato la sua delusione tanto per il fatto in sé quanto perché il decreto lo ha permesso. Nel merito non ha torto e, in effetti, anche tra le chat interne ai gruppi parlamentari si registra rammarico per non aver creato un decreto ad hoc al fine di escludere qualunque tentativo di accesso da parte della classe politica. Anche se, a dirla tutta, specificare l’esclusione dei parlamentari e dei consiglieri regionali da una misura monstre, emanata in giorni concitati e con problemi di ben altra dimensione da affrontare, avrebbe significato relegare la statura delle loro figure a quella di bambini delle elementari un po’ dispettosi, i quali appena vedono una caramella sul banco del vicino se la buttano in saccoccia con una linguaccia. Evidentemente è questo il livello.