L’intervista: Bugo, artista senza etichette

Artista atipico, Bugo è tornato sulle scene da alcuni mesi con il nuovo EP «Arrivano i nostri» (qui la nostra recensione) e ora è in giro per l’Italia per una tournée.

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In Cosa ne pensi Sergio affermi «torno in città e nulla è cambiato». Rispetto a cosa? Può essere vista come una condizione universale?
Ho scritto quel pezzo per dare una sensazione specifica, quella di una persona (non per forza io stesso) che è stata via per un po’ di tempo e non appena torna nella propria città si accorge che la gente attorno a lui non è cambiata per niente e non fa nulla per migliorarsi. È un pezzo su quella sensazione lì, momentanea e non universale.

A proposito di questo singolo, come ti è venuta in mente l’idea di affiggere per tutta Milano dei manifesti con la frase «Cosa ne pensi Sergio»? Ne ha parlato anche «Rolling Stone».
Ero fuori dalle scene da un paio d’anni, dopo l’ultimo tour del 2013. Ho scelto di tornare in questo modo, con l’affissione di migliaia di manifesti anonimi, per attirare l’attenzione. La campagna di affissione è durata un mese. Devo dire che è andata bene, dopo aver svelato il titolo del singolo mi ha contattato subito Radio Deejay per saperne di più.

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Parlaci di Sergio, il cane nel video del singolo. È tuo? Hai un bel rapporto con gli animali?
No, non è il mio cane, è addestrato per lavorare nei set, è conosciuto nell’ambiente e ha anche un pedigree importante. Per quanto mi riguarda, ho un bellissimo rapporto con gli animali, sono cresciuto in campagna. Per fare un video così, non poteva essere altrimenti; se non ci fosse stata una certa complicità, sarebbe stato forzato.

Riguardo al disco, che rapporto c’è tra questo e i precedenti? Ti rompi ancora i coglioni, per riprendere un tuo singolo di alcuni anni fa?
cosanepensisergio-200x200Una canzone esprime solo un momento della vita, quindi certo, ogni tanto mi succede ancora, come per tutti. L’EP è in continuità con i miei altri lavori, il mio è un percorso unico con cui voglio raccontarmi. Mi viene naturale fare un disco in base a ciò che ho già raccontato. Per quanto riguarda il sound, c’è stata certamente un’evoluzione, si cresce. Il primo disco di Vasco non suona come l’ultimo, no? Però quel mio album del 2002 mi piace ancora così, come tutti gli altri.

C’è qualcuno che ti ha ispirato particolarmente?
Entrano tante cose nei miei dischi, in modo non ragionato (non leggo un libro e poi penso a metterlo nel disco, per dire). Per fare musica bisogna vivere appieno; scelgo poi di trasformare alcune cose che mi succedono in canzoni, come ho fatto negli ultimi due anni. C’entra anche la musica che ho ascoltato, dalla più classica alla più moderna. Ti faccio due nomi, distanti tra loro: Vasco e i Phoenix, un gruppo francese famoso in tutto il mondo, con cui la mia italianità si è unita alla mia curiosità per suoni più internazionali.

A tal proposito, c’è qualche artista con cui vorresti collaborare? Anche di un genere diverso dal tuo?
Non ho fatto molte collaborazioni, a parte quella con Violante Placido. È una domanda difficile, ce ne sono tantissimi. I primi artisti internazionali che mi vengono in mente sono i Daft Punk, ma forse esagero… Per me sono pazzeschi. Come i Rolling Stones, del resto. In Italia mi piacerebbe invece fare un pezzo con Celentano, perché è uno dei miei eroi. Sto scrivendo una canzone che potrebbe piacergli.

Che progetti hai ora?
L’
unica cosa che ho in mente per ora è il tour, che è appena iniziato e sta andando molto bene. Nel frattempo ogni tanto scrivo.

BugoIMG_5678-copia-2-e1445558986863Tendi a rifiutare ogni etichetta, ogni categorizzazione. Se però Bugo dovesse proprio definirsi, come lo farebbe?
Questa cosa del non definirmi è un’arma a doppio taglio. Ad esempio non ho mai detto, nemmeno agli esordi, di essere un artista indipendente, però spesso mi hanno identificato come tale. La musica va oltre le barriere, anche se possono esserci delle differenze enormi tra gli artisti (Bugo non è Ramazzotti!). Sono un cantautore perché scrivo canzoni, ma è una parola che non uso mai, ho un carattere più rock.

E che mi dici di «Fantautore», che si trova spesso su internet riferito a te?
È un neologismo che risale al 2003, è stato coniato da un giornalista di Repubblica e poi è rimasto negli anni. All’epoca mi fece piacere, ha fatto parte del mio percorso ma ora tendo a non usarlo.