Il cervello e l’intestino, uno stretto legame

Il tratto gastrointestinale è uno dei principali mezzi di comunicazione che ci mette a contatto con l’ambiente esterno (basti pensare che la superficie totale dell’intestino è circa 200 metri quadri). I disturbi gastrointestinali sono i più comuni e diffusi nella popolazione occidentale, quindi è stato investito molto nella ricerca in questo ambito e le novità scientifiche emerse di recente sono particolarmente degne di nota.
Negli ultimi anni è stata studiata la capacità della mucosa intestinale di funzionare come un organo di senso: esso è infatti in grado di percepire la presenza di diversi nutrienti, tossine, microrganismi e così via. Questa particolare abilità è possibile grazie alla presenza di numerosissimi neuroni, che nell’intestino sono ben 500 milioni e pareggiano in numero quelli del midollo spinale. Queste cellule nervose recepiscono gli stimoli più disparati, tra cui anche la distensione della parete intestinale o la temperatura e inviano le informazioni al sistema nervoso centrale, più precisamente al cervello.
Una delle principali novità scientifiche a questo proposito è proprio la teoria dell’asse microbiota-intestino-cervello, noto anche come psicobiota. È ormai evidente, infatti, che tra l’encefalo e l’intestino avvenga costantemente un ingente scambio di informazioni in entrambi i sensi, il che servirebbe per formulare complesse risposte di natura ormonale, metabolica, nervosa e immunologica.
Ultimamente sono state trovate forti associazioni tra problemi gastrointestinali e disordini psichiatrici: per esempio, più del 50% dei pazienti con sindrome del colon irritabile sviluppa sintomi depressivi o ansia patologica.
Inoltre, è stato realizzato uno studio sperimentale su animali tentando un trapianto di flora batterica da donatori con depressione a riceventi sani e i risultati sono stati a dir poco sorprendenti: il trattamento, nei riceventi, ha prodotto cambiamenti comportamentali compatibili con la sindrome depressiva. Una flora batterica alterata può perfino provocare alterazioni nella risposta del sistema nervoso autonomo a causa di un’eccessiva produzione di acetato, portando di conseguenza a una maggiore secrezione di insulina, iperfagia o obesità. In più, alterazioni del microbiota sono state associate ad alcune forme di autismo ed è stato riportato che pazienti con patologie depressive hanno una composizione della flora batterica diversa rispetto agli individui sani della stessa età.
Tutte le curiose correlazioni riscontrate sono probabilmente dovute al fatto che la modulazione dell’asse intestino-cervello è cruciale nella risposta allo stress; ciò si dimostra particolarmente interessante poiché apre nuove prospettive terapeutiche basate sulla risoluzione dei problemi digestivi, che allieverebbero anche gli altri sintomi. Qualche mese fa una sperimentazione ha rilevato che farmaci prebiotici (sostanze non digeribili che stimolano positivamente la crescita della flora batterica intestinale, indispensabile per una corretta funzionalità digestiva) hanno riscosso effetti molto simili a farmaci antidepressivi o ansiolitici.
Intervenire farmacologicamente o sul sistema nervoso o sull’apparato digerente potrebbe potenzialmente portare benefici a entrambi e rivoluzionare l’attuale modo di concepire le patologie in diversi campi della medicina, permettendo di risolvere patologie ad ora trattabili in modo limitato.