Costanza Miriano: quando è la fede a rendere ciechi

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[dropcap]C[/dropcap]ostanza Miriano, giornalista cattolica, torna a far parlare di sé, la sua attività preferita da un po’ di tempo a questa parte: tutto è cominciato nel 2011 con il libro Sposati e sii sottomessa, con cui ha voluto «portare il verbo della sottomissione in tutto il paese». L’11 giugno la testata online La Croce ha pubblicato una sua proposta: «separiamoci tutti». Un’accozzaglia di pregiudizi che, secondo il sito Gayburg, non sarebbe nemmeno farina del suo sacco, visto che una proposta simile è apparsa il 10 giugno sulle pagine di CityNews Canberra: due australiani etero e sposati affermano che, in caso di approvazione del matrimonio egualitario, si sentiranno costretti a divorziare perché «come cristiani, crediamo che il matrimonio non sia un’invenzione umana. La nostra opinione è che il matrimonio sia un ordine fondamentale della creazione. Parte della storia intima di Dio per la storia umana. Io e mia moglie, per motivi dettati dalla nostra coscienza, rifiutiamo di riconoscere la legge del governo sul matrimonio se la sua definizione includerà anche coppie formate dallo stesso sesso», e poi, «Modificheranno la definizione del termine “matrimonio” e noi non vogliamo più essere associati a questa nuova definizione».L’articolo della Miriano contiene la stessa idea. Ma forse lei non sa che in Italia il ddl Cirinnà di fatto non estenderà il matrimonio alle coppie omosessuali.
Procediamo con ordine: la Miriano se ne esce con una provocazione: «separiamoci tutti», perché «se lo Stato dovesse dare una valenza pubblica alle unioni di persone dello stesso sesso, se addirittura dovesse passare il ddl Cirinnà, che non solo dà un riconoscimento alle convivenze di persone indipendentemente dal sesso, ma le equipara in tutto tranne che nel nome al matrimonio, ritengo che noi che investiamo nella famiglia ci dovremmo separare civilmente. Se la Cirinnà dovesse diventare una legge il matrimonio non sarebbe più il riconoscimento pubblico di qualcosa che costruisce un beneficio comune – cioè essere disposti a mettere al mondo persone e a farsene carico in modo stabile fino a quando loro a loro volta non saranno in grado di provvedere a sé e alla società – ma sarebbe solo un sigillo su un sentimento. Io e mio marito siamo d’accordo (per la precisione, l’idea è sua): per i sentimenti non abbiamo bisogno dello Stato. È una cosa che ci vediamo tra noi. Più profondamente tra noi e Dio».
Diciamo alla Miriano che gli integralisti cattolici non sono gli unici ad «investire sulla famiglia» e che il matrimonio, per la comunità Lgbtqi, è molto più di un «sigillo su un sentimento»: si vorrebbe avere un’equiparazione vera e propria, con diritti e doveri definiti in modo giuridico. Invece, come anticipato, il ddl Cirinnà, che potrebbe diventare legge entro la fine dell’estate, creerà un istituto separato.
Il termine «matrimonio», quindi, rimarrà purtroppo ad uso esclusivo delle unioni eterosessuali e la Miriano non dovrà preoccuparsi, perché non sarà costretta a condividerlo con nessuno. Numerose, infatti, sono le differenze con il matrimonio civile eterosessuale: uno dei due coniugi potrà adottare il figlio del partner («stepchild adoption»), ma non sarà permessa l’adozione di bambini che non abbiano un legame con uno dei due partner.
Giuseppina La Delfa, presidente di Famiglie Arcobaleno, durante il Pride Park romano dell’11 giugno ha fatto notare che le stesse
stepchild sono insufficienti: «Questa legge ci obbligherebbe ad adottare figli già nostri. Potrò adottare mio figlio, quindi, ma l’adozione non sarà legittimante nei confronti del resto della mia famiglia di appartenenza. Non sarà, cioè, nipote di mio padre e mia madre. Se io dovessi morire prima dei miei genitori, le loro proprietà non si trasferirebbero a lui».
La Miriano continua poi dicendo «Il senso del matrimonio davanti allo Stato è l’impegno che la coppia si prende davanti alla società di accogliere gli eventuali figli, (
matri munus, si è detto fino alla nausea), di insegnare loro a rispettare le regole della convivenza civile, le leggi, il bene comune, di trasmettere il patrimonio culturale familiare. Anche lo Stato dovrebbe prendersi lo stesso impegno di riconoscimento concreto, di alleanza con le famiglie (se non altro perché in questa fase di crollo demografico sono le sole che sfornano contribuenti), ma sappiamo benissimo per esperienza certa e diretta che già ora non è affatto così».
Cara Costanza, il matrimonio è molto più di questo. E quelle persone che si sposano benché non abbiano la minima volontà di procreare? E le famiglie sono importanti solo perché danno soldi allo Stato? Quindi chi decide di non procreare, o è impossibilitato a farlo, non deve essere aiutato?
«Quando sono stata investita e ricoverata mio marito è accorso in ospedale, da me, priva di conoscenza e ha gestito lui i rapporti coi medici, anche se per la legge era solo il mio convivente. Tutti questi diritti già ci sono, sono riconosciuti dallo Stato che tutela i conviventi di qualsiasi sesso, come spiegano i promotori del testo unico sulla famiglia.
Le leggi che tutelano i conviventi ci sono, e io aggiungo per esperienza che le tutele ai conviventi sono spesso maggiori di quelle ai coniugi. Due che non sono sposati e hanno due case possono per esempio dichiarare ciascuno una prima casa (non so se sia esattamente legale ma so che si fa), e pagare tasse più basse, mentre se io e mio marito per caso riuscissimo mai, è fantascienza, a comprare una seconda casa dovremmo pagarne di più»; e continua: «È chiaro quindi che quello che chiedono le persone omosessuali non sono “dirittiumani” espressione ormai totalmente svuotata di senso, perché i diritti già li hanno, se decidono di convivere stabilmente. Non parliamo di “diritticivili” – altro ritornello saturo – perché non esistono discriminazioni a livello umano, ci mancherebbe (l’espressione aveva senso quando è nata, per la battaglia antisegregazione dei neri, quando si parlava di posti a sedere negli autobus e bagni separati). Inoltre, come è giusto che sia tra adulti consenzienti possono intestarsi reciprocamente case, disporre delle proprie eredità, firmare consensi in ospedale, andarsi a trovare l’un l’altro se ricoverati».
Non esistono discriminazioni a livello umano? Visto che i fatti di cronaca evidentemente non bastano a dimostrarlo, ci affidiamo ai sondaggi della Ue.
L’Espresso il 28 luglio 2014 intitolava «Omofobia, la mappa dell’odio in Europa. E l’Italia è il Paese che discrimina di più. Un sondaggio dell’Unione Europea condanna senza appello il nostro Paese, relegato in fondo a tutte le classifiche quando si parla di libertà sessuale a scuola, sul posto di lavoro o al momento di accedere ai servizi». Nell’articolo si spiegava come per molti le difficoltà comincino a scuola, dove atti di bullismo e atteggiamenti intolleranti sono quasi all’ordine del giorno; queste esperienze negative si ripetono nel momento in cui si cerca un lavoro o una casa, tanto che molti sono costretti a reprimere la propria identità in pubblico: «un gay e una lesbica su quattro preferiscono non rivelare la propria identità di genere al lavoro, proporzione che sale a uno su tre per donne bisessuali e supera il 50 per cento per gli uomini bisessuali».
Il 91% degli intervistati ritiene poi che i politici italiani usino in modo diffuso un linguaggio discriminatorio: sono tra i più omofobi d’Europa. E le cose non vanno meglio nella vita quotidiana, visto che ben il 96 per cento ritiene un’abitudine diffusa fare battute offensive, soprattutto sull’orientamento sessuale: nell’articolo si legge che due intervistati su tre ritengono diffuso questo tipo di discriminazione.
Le espressioni d’odio contro le persone omosessuali, bisessuali o transgender in Europa sono considerate un reato, mentre in Italia è ancora aperto il dibattito sull’approvazione di una norma severa contro questo tipo di atteggiamenti discriminatori.
Parliamo poi di «dirittiumani», così come li chiama la Miriano, che sostiene che solo due cose manchino alle coppie gay: «la pensione di reversibilità e i figli», perché tutti gli altri già ci sono in quanto stabiliti dalle regole sulla convivenza. Non è così: per una coppia che convive ma non è sposata, in caso di rottura non è previsto il diritto al mantenimento. In più, i conviventi possono ereditare solo per testamento. Non esiste il regime di comunione legale tra conviventi. Ancora: le elargizioni in denaro compiute da uno dei conviventi a favore dell’altro normalmente sono ritenute obbligazioni naturali, quindi, nel momento in cui vengono compiute, non possono più essere richieste da chi le ha effettuate. A volte, le elargizioni sono invece considerate donazioni.
«Le tutele ai conviventi sono spesso maggiori di quelle ai coniugi», dunque? Fino ad ora non è stato così. Lo scopo del ddl Cirinnà sarebbe quello di garantire almeno le stesse tutele. Ma le modifiche finora apportate sono moltissime: sul proprio sito la Rete Lenford informa che l’articolo 3, che rappresenta il fulcro della proposta di legge, è stato smembrato: «nel testo originario veniva fatto un rimando integrale al matrimonio, restando esclusa l’adozione, ora è stato rimosso ogni riferimento all’istituto matrimoniale e vengono espressamente richiamati, uno ad uno, gli istituti che si intendono applicati». In questo modo sarà più semplice emendare l’articolo punto per punto.
L’articolo di Costanza Miriano prosegue riferendosi ai figli e affermando che si tratta di una cosa che non si può cambiare per legge, in quanto è un limite che mette la natura e con cui fanno i conti tantissime persone, anche eterosessuali. «La vita umana è indisponibile, i figli non si pagano, e se una legge vuole cambiare questo, per favore diciamolo chiaramente, non chiamiamoli dirittiumani. Questi sono diritti disumani. Non ammantiamo questa battaglia per la dittatura del desiderio di toni nobili, di difesa dalle discriminazioni, dal bullismo. Chiamiamolo ritorno alla schiavitù, a quando le persone erano cose, e si pagavano, (i gameti, gli ovuli, le donne che vendono ovuli o utero, i bambini prodotti per soddisfare qualcuno e privati della loro storia), chiamiamola dittatura del desiderio. Tutto questo sarebbe permesso dal disegno di legge Cirinnà, che legittima l’adozione del figlio di uno dei due, e di conseguenza l’utero in affitto. E dall’istante in cui le unioni saranno equiparate al matrimonio, la Corte Europea ci metterà tre nanosecondi a intimarci di approvare l’utero in affitto».
Il fatto è che il ddl Cirinnà non parla di utero in affitto. In più, in tutta Europa sono stati approvati i matrimoni egualitari ma nessuno degli stati in questione ha mai legalizzato questa pratica.
Perché mai la Corte dovrebbe imporlo proprio all’Italia? Le restanti affermazioni sono le solite a difesa della «famiglia tradizionale», composta da un uomo e una donna, come se due donne o due uomini non potessero essere dei buoni padri. Ma anche in questo caso, ci sono moltissime storie di bambini cresciuti da coppie gay e diventati persone sane e felici, a dispetto di qualsiasi bigotta previsione.
Niente di nuovo al fronte, dunque. C’è ancora molta strada da fare per abbattere questo genere di pregiudizi.