Logica delle competenze e della delega: la morte della democrazia

Ci si imbatte non di rado in soggetti tronfi e convinti di esser parte dell’emisfero buono e giusto della realtà sociale che dispensano soluzioni alla crisi politico-economica come la restrizione del suffragio universale, diversamente definita anche come patentino del voto. Illusi, appunto, di non esser toccati in negativo da questo ipotetico ridimensionamento della partecipazione alle urne, si scagliano contro l’ignoranza, l’incompetenza, l’incapacità di dare una lettura oggettiva agli eventi, ritenendo che solo chi possiede un dato livello di conoscenza sia abile a esprimere un voto e, di conseguenza, a concorrere a determinare il destino del proprio Paese.

Questo pensiero si inscrive in una deleteria filosofia didattica che si può riassumere in scuola delle competenze. Sostanzialmente,  negli ultimi anni, non si investe più nell’accrescimento umano e culturale, ma nella formazione sempre più specifica e avanzata, specialmente in ambiti lavorativamente meglio spendibili, trascurando un insegnamento eclettico e multiforme che è indispensabile per strutturare in modo eccellente la persona e il cittadino. Un esempio di questa deriva può essere rappresentato dalla proposta della Ministra Paola Pisano di introdurre la materia del coding già a partire dalle elementari, ma è sufficiente porre attenzione a ciò che già avviene nelle aule scolastiche, invase da tanti progetti e strumenti tecnologici, ma sempre più povere di dedizione alle basi che dovrebbero potersi costruire i giovani alunni, quali la lettura, la scrittura, il calcolo, le nozioni storiche e geografiche, l’espressione artistica.

Si producono, così, periti in circoscritti ambiti, ma sempre meno donne e uomini permeati da consapevolezza di se stessi e del loro compito all’interno della comunità, in grado di soddisfare le esigenze del mercato, ma non di giocare un ruolo determinante nelle dinamiche politiche. Allora, andranno a mancare i cittadini, ossia coloro che, forti di una costruzione intellettuale universale e ulteriore rispetto alle competenze attestate dal proprio titolo di studio,  si spendono per l’interesse del proprio popolo, consci e orgogliosi di farne parte; all’opposto, dilagheranno individui privi di senso della cosa pubblica, con capacità finalizzate a un’esigua applicazione,  perlopiù lavorativa.

Di conseguenza, nessuno potrà dirsi immune dall’esclusione dalla vita politica,  nemmeno coloro che sfoggiano una o più pergamene e corone d’alloro: l’informatico, il medico, il biologo, il docente universitario di filologia romanza, secondo la logica delle competenze, a quale titolo potrebbero redigere o emendare la legge di bilancio o partecipare a un referendum confermativo su una riforma costituzionale? Dovrebbero esserne tagliati fuori e lasciare campo libero solamente a economisti e giuristi. Dallo stesso punto di vista, quest’ultimi sarebbe opportuno non si occupassero di leggi sull’istruzione o sulla salvaguardia dell’ambiente, poiché si tratta di tematiche che esulano dalla loro preparazione accademica.

Non è responsabilità esclusiva della piega che ha preso il mondo dell’istruzione, tuttavia. Anche la logica della delega comporta l’estraniamento dalla politica e perciò il deterioramento della democrazia. Ormai, i partiti di massa si sono estinti. Non esistono più quelle strutture gerarchiche che catalizzavano e organizzavano la partecipazione politica trasversale del popolo, dall’operaio, all’avvocato, dal netturbino al filosofo. Esse consentivano non solo una costante attenzione alle dinamiche politiche, ma lo scambio culturale che permetteva anche al militante più umile di addentrarsi nel diritto, nell’economia, nella filosofia politica, ecc., oltrepassando i limiti dettati da una modesta permanenza sui libri e dal ceto sociale d’appartenenza, potendo guadagnarsi una posizione attiva e determinante nella Repubblica. Ora, al contrario, si tende a delegare, a ritenere che siano altri a doversi prendere cura dello Stato, un po’ per sfiducia, un po’ per autocensura, non facendo che mortificare l’essenza della democrazia, tramutandola in un’oligarchia in cui la difesa dell’interesse nazionale, comprendente quello di ogni classe sociale, si rivela sempre più sbiadita.