Ci vuole coraggio a parlare in Messico

Spendo questo mio spazio per un omaggio a una donna coraggiosa, Gisela Mota, sindaco in Messico, precisamente nel comune di Temixco, nello stato di Morelos, uccisa poche ore dopo l’insediamento. Dicono che nessuno legga i programmi elettorali prima di recarsi a votare, ma non è così. I narcotrafficanti li leggono eccome.

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Hanno già ucciso un centinaio fra sindaci (ricordo l’uccisione di Aidé Nava González a marzo 2015) e candidati (Ulises Fabián Quiroz, per citarne uno), come a dire «Ecco cosa succede a chi vuol liberarsi di noi». Preferisco però usare questo spazio per un messaggio di speranza: la criminalità organizzata non vincerà per sempre, non farà fuori tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Non so molto del Messico, ma so qualcosa a proposito del coraggio. Gisela Mota Ocampo aveva trentatré anni; fra il 2012 e il 2015 era stata deputata del Partito della Rivoluzione Democratica, uno dei principali della sinistra messicana. L’ultima volta che ho sentito la parola «coraggio» associata a un politico, era in una frase del tipo «Quello ci ha un bel coraggio a farsi vedere in giro, dopo quello che ha combinato!». E l’ultima volta che mi sono preoccupata per un sindaco è stato quando ho visto Don Matteo 3 e la donna insediatasi a Gubbio (mi hanno raccontato che è una città tranquilla). Amministrare con onestà una città messicana è difficile e mi inchino al coraggio e alla determinazione di Gisela Mota, che sicuramente era consapevole di cosa stava rischiando. Ma anche i giornalisti in Messico se la passano davvero davvero male: dal 2000 ne sono stati giustiziati ottanta e sequestrati sedici, stando ai dati del settembre scorso. Altro che tranquillità dietro un computer, protetti dallo schermo. Non toccate il Messico, non parlatene, non fatene sapere niente e nessuno si farà male, tranne i messicani sotto la soglia di povertà. Tacete o scomparirete, come 43 studenti più di un anno fa.