Aillon, presidente della Decrescita Felice

Nel Belpaese delle trivelle, dove i trentenni di oggi vedranno la pensione a 75 anni,  esiste una realtà che fa dell’utopia il proprio moto ispiratore. Si chiama Movimento per la decrescita felice (Mdf) e si definisce giuridicamente come associazione di promozione sociale senza scopo di lucro. Nasce in Italia nel 2007 per dare un seguito concreto alle teorie contenute nel libro di Maurizio Pallante, La decrescita felice del 2005, il quale a sua volta riprende il pensiero dell’economista francese Serge Latouche.

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Viviamo in un mondo di paradossi in cui a un aumento del benessere corrisponde un aumento dei suicidi e dell’uso di psicofarmaci, alla crescita demografica si accompagna la diffusione di povertà e malattie, i paesi più industrializzati sono anche quelli con i debiti pubblici alle stelle. Nel nostro attuale modello economico la produzione è fine a se stessa ma l’impatto sociale e ambientale cominciano a farsi sentire; la disoccupazione e il riscaldamento globale sono diventate, infatti, le paroline magiche per bloccare il gioco e/o ristabilirne a piacimento le regole. In questo contesto, valori come «Sostenibilità», «Equità decrescita-felice-2sociale», «Partecipazione» e «Convivialità» sembrano piccoli fari nella notte, per i più cinici sono solo discorsi tra nostalgici degli anni Sessanta. Eppure c’è chi lavora nel sottobosco dell’economia odierna per mettere in pratica questi principi e dimostrare che un’altra via, più sana ma faticosa, è percorribile.

Dalle Alpi alla Sicilia, il Mdf vive in circoli territoriali e gruppi tematici che promuovono attività di ogni tipo; ad esempio, c’è l’Università del Saper Fare, con corsi e laboratori per valorizzare il recupero delle conoscenze e delle pratiche necessarie per l’autoproduzione di beni (pane, cosmetici, ecc.). Oppure il progetto «I locali della decrescita felice», che mappa tutti gli esercizi commerciali «decrescenti» nel settore della ristorazione e dell’ospitalità. «Il movimento vuole essere un posto in cui tutte le persone, ognuna nella sua maniera, remano verso la costruzione di un futuro migliore — dichiara Jean-Louis Aillon, trent’anni, attuale presidente — e si possono riconoscere, ritrovarsi, stare insieme e praticare questa maniera un po’ diversa di essere al mondo. Quindi delle piccole comunità dove si possono fare delle cose pratiche, concrete». Aillon è anche medico dottorando in antropologia e psicologia, nonché fondatore del circolo di Torino e del Comitato Rifiuti Zero Valle d’Aosta. Di recente ha pubblicato il libro La decrescita, i giovani e l’utopia. Comprendere le origini del disagio per riappropriarci del nostro futuro, in cui indica la crisi giovanile come un punto di partenza, la soluzione stessa al problema. Non è un caso se la maggior parte degli attivisti del Movimento rientrino nella fascia d’età tra i 20 e i 30 anni. La stessa alla quale si riferisce Tito Boeri, presidente dell’Inps, quando dichiara che rischiamo di avere intere generazioni perdute all’interno del nostro Paese.

decrescita_feliceLa politica è la destinataria principale delle attività del movimento perché è lo strumento fondamentale con cui attuare un cambiamento del modello di sviluppo: «Noi ci poniamo come ispiratore, come portatore di contenuti. Quindi — continua Aillon — siamo ben contenti se vi sono delle realtà che sono interessate a queste cose e ci rivolgiamo a 360 gradi a quelli che ci contattano anche proponendo delle riflessioni. Per esempio, qui a Torino, spesso in occasione delle elezioni, chiamiamo tutti i partiti e chiediamo cosa ne pensano su una serie di questioni legate alla decrescita. Però come movimento siamo concentrati a fare un lavoro dal basso di cambiamento culturale e dialoghiamo con queste modalità con il mondo dei partiti».
Dopo il risultato del referendum sulle trivelle, la percezione sembra essere quella di un paese non ancora pronto ad affrontare, con politiche più incisive, l’idea che si possano creare posti di lavoro nel rispetto dell’ambiente. Ma qualcosa si muove.  Secondo Aillon, la sfida è creare sinergie fra tutti quei movimenti che si occupano di queste tematiche: «Pensiamo a Transition town, a tutte le altre associazioni della decrescita, pensiamo alla rete degli eco villaggi, a Slow Food, che operano in questo momento. La rete delle persone è intorpidita però piano piano, grazie anche alla crisi, ci si sta risvegliando. La sfida sarà quella di riuscire a tessere questa tela dal basso affinché possa essere robusta quando, con crisi di maggiori entità, saremo in grado di reggere il colpo e rialzarci».

Alessia Melchiorre