Depositi di scorie radioattive: i cittadini saranno consultati

Nei giorni scorsi è stata resa pubblica, dopo anni di attesa, la mappa delle aree che potrebbero diventare luogo del deposito nazionale di rifiuti radioattivi. L’Italia è infatti tutt’ora priva di depositi del genere, avendo stoccato i propri «avanzi radioattivi» in siti temporanei e rinviando più volte il problema, come è abitudine fare in troppe circostanze nel Belpaese. Questa notizia, arrivata improvvisamente da Sogin (società pubblica che segue lo smantellamento degli impianti nucleari) e dal Governo, ha comprensibilmente messo in fibrillazione gli abitanti delle aree interessate, che non si aspettavano minimamente di essere coinvolti nel piano. Le aree individuate sono 67 e corrispondono allo 0,07% del territorio nazionale. L’associazione Scientificast, che si occupa di divulgazione scientifica,  tramite una diretta instagram ha provato a fare ordine sulla mole di notizie contenute nel sito governativo (https://www.depositonazionale.it/) che ha l’obiettivo di informare i cittadini sull’intera operazione.

Innanzitutto è stato chiarito il tipo di materiale trattato, che consisterà perlopiù in rifiuti a bassa e bassissima emissività, con un tempo di decadimento della radioattività stimato in circa 300 anni. Verranno stoccati molto cemento e metalli, che costituivano parte integrante delle vecchie centrali (circa il 35% del totale, che comprende anche rifiuti da impianti non Sogin) e materiali di scarto da ospedali e centri di ricerca (circa 65%). Ci sarà spazio per ospitare, temporaneamente, anche una parte di combustibile (a media/alta emissività) delle vecchie centrali nucleari presenti sul nostro territorio, prima del famoso referendum abrogativo: era infatti stato inviato all’estero per subire il riprocessamento del caso, che prevede l’asportazione i radionuclidi per usarli nella ricerca scientifica. A struttura ultimata ci verrà restituito e sarà stoccato lì, in attesa di essere spostato in un deposito per i rifiuti ad alta emissività. Questo spazio riservato occuperà circa 17mila metri cubi sui 78mila totali previsti.

Si è poi discusso della scelta delle possibili aree, che è stata fortemente limitata dalla conformazione del territorio della penisola: c’è da considerare che il 91% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico e, soprattutto, bisogna seguire i 28 criteri di localizzazione (15 di esclusione e 13 di approfondimento) adottati per questo tipo di infrastruttura. Una discriminante, ad esempio, prevede che non possa essere situato a più di 700 metri di altezza e, inoltre, ci sono da escludere i territori a rischio vulcanico, sismico, idrogeologico, ecc. L’area finale dovrà essere anche abbastanza ampia da garantire le caratteristiche previste: il progetto occuperà 150 ettari di superficie, di cui 110 adibiti a deposito e 40 a parco tecnologico, con una parte molto importante che riguarderà la ricerca, vedendo una creazione non indifferente di posti di lavoro. Il sito apparirà alla popolazione come una «collinetta», sotto la quale avverrà lo stoccaggio.

I prossimi passaggi burocratici prevedono un coinvolgimento del territorio e dei cittadini, con sessanta giorni (a partire del 5 gennaio) in cui i sindaci, le associazioni e chiunque altro possono portare loro osservazioni, considerazioni o eventualmente critiche. Al termine ci sarà un seminario con Sogin e i decisori politici, in cui si raccoglieranno le manifestazioni di interesse ad ospitare il sito. L’obiettivo è arrivare ad un accordo che accontenti tutti (o, più probabilmente, che scontenti tutti), trovando la soluzione migliore. Al momento, guardando i criteri di approfondimento, che riguardano le caratteristiche dei territori non esclusi, i siti più adatti  sembrano essere in Piemonte.

È la prima volta che, in Italia, viene aperto un percorso di consultazione sulla costruzione di una grande opera: coinvolgere i cittadini e procedere con un percorso di informazione e partecipazione è sempre la scelta migliore. Una soluzione definitiva al problema va trovata e il rischio che comportano questo tipo di opere, pur essendo molto basso, non potrà mai essere uguale a zero. Lo Stato italiano avrà il dovere di vigilare, insieme alle altre istituzioni preposte, sul regolare svolgimento dei lavori e sul rispetto dei criteri di costruzione, nella tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente.