Disastri naturali: il peggio deve ancora arrivare

Dagli incendi in Australia e nella costa occidentale degli States all’invasione di cavallette nel Corno d’Africa, dalle tempeste Ciara e Alex in Europa al Ciclone Amphan nel Bengala, dagli uragani nell’Oceano Atlantico alle inondazioni in Cina, in Giappone e in Pakistan, fino all’incontro con il Covid-19, il 2020 ci ha insegnato ad accettare che la permanenza della specie umana su Gaia non sarà un’esperienza serena.
In cauda venenum, il 2021, segnato da alluvioni, incendi e devastazioni, ci sta ricordando che quanto abbiamo sperimentato negli ultimi 24 mesi non è la trama di un film distopico-apocalittico dal dolce finale, ma è il prologo della sesta estinzione di massa.

Con l’espressione estinzione di massa si intende una transizione biotica, vale a dire un periodo geologicamente breve, durante il quale, a seguito di un evento straordinario e in correlazione con i mutamenti drastici delle condizioni di vita sul pianeta, si assiste alla scomparsa di numerose specie viventi.
La sesta estinzione di massa è in atto e viaggia ad una velocità in progressivo aumento: l’equipe di scienziati della National Autonomous University of Mexico, diretta da Gerardo Caballos, ha affermato nel 2020 che il tasso di estinzione reale è superiore di 100 volte al tasso di estinzione storico (tasso di background).
Non solo l’elegante leopardo delle nevi, il tenero panda gigante, il curiosissimo takahe, ma anche e soprattutto l’uomo, dunque, è un animale a rischio di estinzione, il colpevole di un processo di distruzione che sta assumendo le tragiche sembianze di un 
suicidio involontario.

Il sovraffollamento demografico, l’inquinamento di terra, acqua e aria, il riversamento di anidride carbonica e di rifiuti chimici, la conduzione dei processi industriali con sostanze altamente pericolose e la deforestazione ci stanno, infatti, consegnando al presente che conosciamo, dominato dal riscaldamento globale, dai cambiamenti climatici e dai disastri naturali.

L’International Panel on Climate Change (Ipcc) dell’ONU ha emesso ieri, il 9 agosto, la più grave delle sentenze: le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono le più alte degli ultimi 2 milioni di anni; le concentrazioni di metano e biossido di azoto sono le più elevate degli ultimi 800mila anni; l’ultimo decennio è stato il più caldo degli ultimi 125mila anni; rispetto al periodo 1850-1900 si è raggiunto un livello di global warning pari a 1,1 gradi centigradi, andamento che non ha eguali in 2000 anni di storia umana; l’aumento medio del livello dei mari è cresciuto ad una velocità mai registrata negli ultimi 3000 anni.

Insomma, non è il tempo di invocare il grido ingenuo di Save the Planet, ma è il tempo di decidere se desideriamo scomparire: le condizioni climatiche stanno rapidamente e inesorabilmente mutando, ponendo a dura prova non la salute del pianeta Terra, che può ben fare a meno di noi e delle nostre scorie, ma la nostra sopravvivenza.
Per pronunciare la decisione fatale non c’è più tempo.
Il nostro destino si decide hic et nunc, qui e ora.

Il tasso soglia da tenere in stretta considerazione è quello di 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale, fissato dall’Accordo di Parigi del 2015 come le colonne d’Ercole dell’umanità: i comportamenti che adotteremo nei prossimi due decenni avranno determinanza epocale; se avvieremo un processo di decarbonizzazione totale, allora potremo contenere il riscaldamento globale di poco sotto il tasso soglia; se avvieremo l’emulazione dei nostri nonni, allora potremo non donare mai la vita ai nostri pronipoti.

In assenza di interventi rapidi e radicali, nel 2040 si assisterà al raggiungimento di 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale.
A partire da qui, la specie umana inizierà ad affrontare e a percepire alcuni dei più temuti effetti:
scioglimento pressocchè completo dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, inondazioni, ondate di calore, siccità, incendi, povertà, fame, morte.
Il costo stimato è pari a 54 trilioni di dollari di danni.

Entro il 2100 saluteremo i 2 gradi centigradi di riscaldamento globale: i danni prodotti saranno catastrofici e definitivamente irreversibili.
Il costo di tale ulteriore innalzamento sarà di 69 triliardi di dollari, equivalente a 27 volte il debito pubblico italiano.
La seconda metà del nostro secolo sarà l’epoca non delle emigrazioni di massa, ma delle evacuazioni di massa.
La fuga dai Tropici, infatti, comporterà la pressione, alla frontiere dell’Emisfero Boreale, non già di 10mila, 20mila o di un milione di persone, ma l’ingresso violento di oltre 100 milioni di individui.
Può un muro respingere l’avanzata di centinaia di milioni di affamati?

La rotta va invertita adesso: per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi, nel 2050 le fonti rinnovabili dovranno fornire il 70-85% di energia elettrica.
Dobbiamo correre.
L’umanità si riunirà ai blocchetti di partenza tra il 31 ottobre e il 12 novembre 2021, quando, a Glasgow, avrà sede la 26esima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Arriveremo al traguardo? Dipende solo ed esclusivamente da noi.