Dissesto idrogeologico: perché non tutti lo temono allo stesso modo

L’Italia è fra i Paesi europei più interessati da importanti fenomeni attribuibili al generale dissesto idrogeologico: 9 comuni su 10 sorgono in aree altamente propense a frane e alluvioni, e nel 16,6% del nostro territorio, in seguito a precipitazioni abbondanti, questo rischio è molto elevato. Non sempre però il rischio idrogeologico reale equivale al rischio avvertito e, di conseguenza, alla disponibilità dei cittadini ad adottare comportamenti preventivi e di mitigazione. Quali sono i fattori che influenzano la percezione del rischio ambientale ?

«Il nostro gruppo di ricerca si è concentrato su due temi in particolare, il senso di connessione con l’ambiente e il senso di distanza psicologica», spiega Federica Spaccatini, ricercatrice di Psicologia Sociale dell’Università Milano-Bicocca e autrice di uno studio che indaga sul modo in cui i meccanismi cognitivi individuali influenzano la percezione del rischio idrogeologico. «L’idea di partenza è che le persone che si sentono meno interconnesse alla natura e che percepiscono la propria esistenza come indipendente da ciò che succede nell’ambiente intorno a sé siano più portate a sottostimare il rischio e, quindi, siano meno propense a mettere in atto comportamenti di mitigazione o a sostenere politiche pubbliche di mitigazione». 

«L’altro tema cruciale è quello della distanza psicologica» prosegue la ricercatrice. «Infatti, uno dei vincoli più evidenti è che le persone tendono a pensare a questi fenomeni come eventi astratti e lontani. Questa distanza fa si che le persone si attivino meno a livello emotivo e anche a livello di risposta comportamentale per mitigare il rischio ambientale»

I dati dello studio hanno confermato queste ipotesi. Nel lavoro Spaccatini e colleghi hanno sottoposto un questionario a 191 partecipanti residenti sia in regioni italiane ad alto rischio idrogeologico, ad esempio la Liguria, sia in aree più sicure. Le domande  hanno permesso di valutare lo stile cognitivo dei partecipanti, il senso di connessione con l’ambiente e il senso di distanza psicologica dagli eventi. È emerso così che la distanza psicologica e lo stile cognitivo giocano un ruolo nella percezione del rischio ambientale e, di conseguenza, hanno un effetto sulla propensione delle persone a mettere in atto comportamenti di mitigazione.

«I dati mostrano come il senso di connessione con l’ambiente e la distanza psicologica siano, a loro volta, influenzati dallo stile cognitivo e dalle modalità di pensiero degli individui: chi adotta un pensiero più olistico (dà maggiore importanza al contesto nel suo insieme) tende a sentirsi più interconnesso con l’ambiente, percepisce una minore distanza psicologica dall’evento avverso, percepisce maggiore rischio ambientale e mostra un atteggiamento più favorevole verso le misure di mitigazione del rischio sia a livello individuale rispetto a chi è più analitico (concentrazione sui dettagli). Gli individui con uno stile cognitivo olistico tendono a percepire gli eventi e gli oggetti come essenzialmente interconnessi e, al fine di comprenderli, tendono a orientare la propria attenzione verso le relazioni tra questi oggetti ed il contesto». 

Lo studio si inserisce all’interno di un progetto più ampio, Florimap, finanziato dalla Fondazione Cariplo e coordinato dal Professor Renzo Rosso.
«Lo scopo del progetto è appunto quello di affiancare all’analisi del rischio di inondazione, dell’esposizione e della vulnerabilità di persone e infrastrutture condotta dai colleghi di ingegneria, un’analisi sulla percezione del rischio», precisa la Professoressa Simona Sacchi dell’Università degli Studi di Milano. «Queste prospettive sono perfettamente complementari se pensiamo che la percezione del rischio influenza il comportamento delle persone e delle comunità, facendo così aumentare o diminuire proprio l’esposizione e la vulnerabilità ai rischi ambientali».

Uno dei principali obiettivi del progetto è fornire indicazioni utili non solo alla comunità scientifica ma anche alla popolazione, ai policy-makers, agli esperti di protezione civile.
Si potrebbero, infatti, utilizzare strategie di comunicazione ad hoc per ridurre il senso di distanza percepito da eventi ambientali avversi, per aumentare il senso di connessione con la natura o, ancora, incoraggiare una percezione olistica del rischio ambientale.
Lavorare sulle percezioni individuali potrebbe rivelarsi una strategia più efficace e meno divisiva rispetto, per esempio, a quella di portare il discorso ambientale sul piano ideologico.

Concludiamo con un’osservazione della prof. Sacchi: «Queste prospettive possono essere fruttuosamente integrate per aumentare la sensibilità delle persone e della collettività sui temi ambientali, muovere dei comportamenti virtuosi a livello individuale, incoraggiare il supporto sociale a politiche ambientali sempre più necessarie ed impellenti».