E gli fecero una statua

La recente ondata di proteste e rabbia sociale che, in seguito all’omicidio di George Floyd, ha invaso gli Stati Uniti e di riflesso l’Europa, si sta pian piano riversando anche su una parte del patrimonio artistico e toponomastico delle città. In coda alle manifestazioni, gruppi di manifestanti hanno iniziato a prendere di mira una serie di statue, da Cristoforo Colombo ad Andrew Jackson fino a Winston Churchill, rei di simboleggiare oppressione, genocidio e razzismo.

Tali episodi hanno avuto una risonanza anche nel nostro Paese, in particolare a Milano, dove l’associazione antifascista I Sentinelli ha richiesto al comune di rimuovere la statua dedicata a Indro Montanelli, riaccendendo una polemica iniziata a seguito dell’imbrattamento del monumento durante la manifestazione dell’8 marzo 2019, rivendicato dal collettivo femminista Non una di meno.

Secondo i sostenitori della damnatio memoriae e le autrici dell’atto, Montanelli non è degno di essere ricordato in quanto, durante la Guerra d’Africa, ha acquistato e sposato una dodicenne ascara. Inoltre, non ha successivamente nè rimosso, nè sconfessato l’episodio, raccontandolo apertamente a più riprese.

Parlando nel merito della questione, ciò che ha fatto Montanelli era un costume legale, nonchè parecchio diffuso nell’Eritrea degli anni Trenta e tale argomento ha portato in sua difesa di fronte alla contestazione del fatto. Per quanto l’atto sia e fosse assolutamente deprecabile anche ai tempi (quando in Italia l’età minima per contrarre matrimonio era di quattordici anni), il comportamento è stato legittimo, in quanto ogni individuo è soggetto a rispondere pubblicamente delle proprie azioni di fronte alla legge del luogo in cui le compie. Ovviamente, legittimo non significa moralmente o eticamente giusto, in quanto etica e morale sono concetti che mutano con il cambiare dei tempi, delle conoscenze e delle concezioni, fungendo poi da motore per l’evoluzione della legge stessa, come oggi possiamo facilmente dedurre osservando gli stessi movimenti di protesta.

Ancor più importante del caso Montanelli, però, è il criterio in base al quale si erige un monumento alla memoria di un personaggio o di un avvenimento. Si tratta di importanza fattuale o di statura morale? La risposta è la prima opzione.

Un monumento è innanzitutto una testimonianza, idealmente diretta ai posteri, dell’esistenza di qualcuno che ha segnato i tempi, a cui poi ognuno adduce il proprio giudizio, filtrato da etica, senso critico e morale personale. La rilevanza non comporta un giudizio di per sè, ma stimola a formarsene uno con la lettura individuale. Ragionando in questi termini, è innegabile che Montanelli abbia ricoperto un’importanza fondamentale nella Storia italiana da un punto di vista giornalistico, storico e parzialmente anche letterario. La sua è stata una delle voci più lucide, libere ed argute del panorama italiano, centrale nel raccontare da una prospettiva unica l’evoluzione dell’Italia, dai tempi di Mussolini fino a quelli di Berlusconi.

Per quanto un personaggio illustre possa portare nella sua figura negatività o ambivalenza, è assai pericoloso e controproducente rileggere la Storia facendo la selezione morale all’ingresso di ciò che deve essere ricordato o meno, ossia operando il medesimo ragionamento che anima le mentalità oscurantiste ed opprimenti che le spinte progressiste contemporanee si pongono di contrastare. Del resto, porre i giudizi morali ed etici al di sopra di quelli legali e dell’oggettività storica fu proprio l’emblema di quel Medioevo così spesso invocato per criticare chi sostiene posizioni bigotte o conservatrici nel dibattito pubblico.

In conclusione, è fuori discussione che Montanelli vada criticato e condannato per quel gesto, ma lo è altrettanto che non ne vada negata l’importanza storica agli occhi di un ipotetico passante del 2200, pur continuando a ricordare anche che, tra le tante vicende umane che lo hanno riguardato, vi è stato un caso di vera e propria pedofilia legalizzata. Altrimenti, si finisce per perdere tratti del passato comune in nome di mero revisionismo moralizzante, puramente legato alla sensibilità e all’etica contemporanea. Ovvero l’esatto contrario del motivo per cui si fa memoria.