Emile Durkheim: scrivi anormale leggi dinamico

C’è una diffusissima opinione sul fatto che «normale» sia sinonimo pressoché imprescindibile di «positivo». Qualcosa di normale è ampiamente accettato, la normalità va a braccetto con la quotidianità e l’inattaccabile certezza che qualsiasi cosa sia, l’aggettivo normale le conferisce un’aura di familiarità e, di conseguenza, di tranquillità, pace ed equilibrio. D’altro canto è altrettanto largamente accettato che il suo polo opposto, conosciuto nell’opinione pubblica come «anormalità» ,venga visto e sentito con un’accezione negativa. Mentre così non dovrebbe essere.

Emile Durkheim (1858-1917)
Il sociologo Emile Durkheim (1858-1917)

La normalità è basata su un numero: statistica vuole che un fenomeno che rientra nella percentuale più alta di frequenza sia la «norma», traslitterato e masticato comunemente come un fenomeno, oggetto, soggetto o comportamento normale. Chiaramente, qualcosa che viene perpetuato dalla maggioranza senza variazioni considerevoli, dona all’accezione di norma un senso di tranquillità e stabilità non indifferenti, una linea che marca ciò che è al di qua, ossia equilibrio e certezza, e al di là, vale a dire ignoto, sconosciuto, non sicuro. È tuttavia impossibile non notare come il concetto di normalità non regga senza il suo opposto: una maggioranza, dunque non una totalità, presuppone che abbia accanto a sé una minoranza. Da un punto di vista individuale, i soggetti che numericamente entrano nella maggioranza, vale a dire nella norma, hanno democraticamente il diritto di essere ascoltati, e che i loro diritti vengano soddisfatti: è la vita stessa che viene creata su misura per la maggioranza dominante. E la minoranza, l’anormalità, dove va a finire? Che senso ha prestare attenzione all’eccezione, quando 99 volte su 100 questa non compare? Ha senso sprecare energie?
La risposta che mi sento di dare è sì. Dire sì all’anormalità significa dire sì al cambiamento, alla possibilità di uscire dagli schemi per creare nuovi modi di vedere ciò che credevamo essere «positiva normalità».
Gli equilibri creati dalla normalità rischiano di essere, rotti, danneggiati, compromessi definitivamente: ben venga. Il francese Emile Durkheim, considerato uno dei padri fondatori della moderna sociologia, vedeva nella non normalità (conosciuta anche con il termine di devianza) un’opportunità di dinamicità sociale, in quanto la mera interiorizzazione di valori e norme renderebbe una collettività statica, incapace di progredire nel suo naturale sviluppo. Preservare l’ordine socio-culturale ci impedisce di vedere oltre ciò che esiste al di fuori delle mura create dalla diffidenza verso la non conformità. Parrebbe, insomma, che non ci sia nulla di più normale, per così dire, dell’anormalità.