Povera Italia! Anche Ericsson lascia e licenzia

Premessa. Che cos’è Ericsson? La società è una multinazionale delle telecomunicazioni, presente in 180 paesi, ed è leader mondiale della distribuzione delle reti fisse e mobili (2G, 3G, 4G, 5G) , sia a privati che ad aziende. Conta circa 115mila dipendenti in tutto il mondo, di cui 4mila solo in Italia. Nello specifico, nel nostro paese fornisce principalmente la connessione per le reti Wind (che usa apparati Nokia) e Tre (che usa apparati Ericsson). La Ericsson è inoltre specializzata nella fornitura di software nell’ambito dell’«information and communication tecnology» (Ict), con circa 2,5 miliardi di abbonati.

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Il 40% del traffico internet mondiale passa per questa azienda. Nel 2012 ha avuto oltre 227,8 miliardi di ricavi in Corone svedesi, più di 2 miliardi di euro. La sua sede centrale è in Svezia, a Stoccolma. Il suo contante netto alla fine del secondo trimestre ammonta a 32,5 miliardi di SEK, con un aumento del 18% rispetto al 2013.
Ericsson in Italia. Nel 2006 si attua nella penisola la cosiddetta «operazione Marconi», che riguarda circa 2000 persone. Compresi i dirigenti, l’organico contava circa 4500 dipendenti, distribuiti in tutta Italia: Genova, Pisa, Assago (MI), Napoli, Moncalieri (TO), Pagani (SA), Roma. Dal 2006 in poi, Ericsson attua la fusione di Marconi-Marconi Sud, grazie alla quale rafforza la sua posizione nel settore delle Telecomunicazioni. Nel 2010 viene acquisita la società «Pride», specializzata nella consulenza e nella system integration Ict, con oltre 1000 dipendenti. La Ericsson intende così rafforzare «il proprio ruolo a supporto dell’innovazione degli operatori di telecomunicazioni e delle imprese italiane». Il 16 maggio 2016 è stata presentata la prima parte del piano industriale di Ericsson Italia, con amministratore delegato Nunzio Mirtillo
. Il programma riporta una serie di affermazioni programmatiche, tra cui la volontà dell’azienda di mantenere la leadership nelle principali attività aziendali, di consolidare la partnership e di rimanere competitivi attraverso l’innovazione dei processi. Si evidenzia inoltre l’incremento complessivo del mercato digitale in Italia ed un possibile impulso per il Business della Banda Ultralarga. Assente invece una definizione precisa dell’espressione «adeguamento dell’organico». Il 10 giugno 2016 viene presentata la seconda parte del piano industriale, in cui l’azienda comunica di voler attuare 332 esuberi in Italia (di cui 147 solo a Genova) entro la fine del 2016 e almeno altri 140 entro il 2017. Dal 2007 ad oggi sono state aperte dalla Ericsson 13 procedure di licenziamento collettivo, che hanno ridotto di molte unità il personale.
I rapporti con le istituzioni italiane. Il 6 luglio 2016 a Palazzo Madama si è svolto l’evento «Giovani innovazione crescita #Obiettivo8». Vi hanno preso parte Matteo Renzi, il ministro del lavoro Giuliano Poletti e il ministro dell’Industria e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, e molti altri esponenti del governo. Questo è accaduto dopo che la Ericsson, convocata al Ministero dello Sviluppo Economico, ha rifiutato l’incontro con i sindacati in quella sede, volendo trattare soltanto al Ministero del Lavoro, e dunque discutere non di investimenti ma solo di licenziamenti. Lo Stato italiano ha però investito delle somme importanti per l’azienda, per esempio la Regione Toscana ha stanziato per il biennio 2016-18 circa 7 milioni, di cui 3,5 destinati ad Ericsson, per il progetto Fi-Pi-Li 3 (la strada di grande comunicazione Firenze-Pisa-Livorno). Non solo. Un esempio delle attività concrete di Ericsson in Italia può esserci dato dal sito di Pisa. Qui sono presenti 53 dipendenti, specializzati nel settore di «ricerca e sviluppo». Il sito collabora con la Scuola superiore di Sant’Anna e con il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni (che riunisce 36 università italiane). A partire dal 2017 l’area di Pisa si sarebbe dovuta occupare dello sviluppo di nuovi prodotti per le tecnologie 5G e radio, ma l’annunciata procedura di mobilità ridurrebbe il personale a 14 unità, tutte dipendenti dalla Svezia. C’è poi il sito di Genova, dove il Parco Scientifico Tecnologico avrebbe dovuto costituire la «Silicon Valley italiana». Ericsson è a oggi la multinazionale più estesa nel Parco, nato con l’idea di diventare un polo tecnologico, in collaborazione con l’Università di Genova.
I fatti più recenti. Nel solo 2016 si sono svolti 5 scioperi dei lavoratori Ericsson, in particolare a Genova, che è il sito più colpito dalla procedura di mobilità. Ai sensi della legge n. 223/1991 e successive modifiche, dal momento in cui si apre una procedura di mobilità vi sono 45 giorni di tempo per la contrattazione sindacati-azienda. Se al termine dei 45 giorni non si trova un accordo ci sono altri 30 giorni di tempo per tentare un compromesso al Ministero dello Sviluppo Economico o al Ministero del Lavoro. Ebbene, questi incontri ci sono stati, e la linea di Ericsson è stata inamovibile ed unilaterale: l’azienda intende procedere con i licenziamenti. Il 29 agosto si è tenuto l’ultimo incontro sempre al Ministero del Lavoro, con scarsi risultati. L’azienda è infatti rimasta ferma sulle sue posizioni, ribadendo la necessità di una riorganizzazione di tutto il personale in Italia, e prorogando il tempo per tentare di trovare un accordo fino al 12 settembre, data da cui potranno partire le lettere di licenziamento.
Conclusioni. Siamo di fronte a una questione più grande di un licenziamento collettivo. La storia di Ericsson potrebbe essere paragonata a quella della Olivetti, che come Ericsson sta facendo oggi, non decise di smettere di produrre, ma di farlo all’estero con costi più competitivi, e ovviamente non furono buone le conseguenze per il mercato italiano che veniva privato di una risorsa importante. «Se l’Italia non sarà più interessante per nessuno non andremo molto lontano, e certe conoscenze, non avendole in loco, dovremo importarle», spiega Marco Paini della Rappresentanza Sindacale Unitaria (Rsu) di Genova. Questo è infatti il tema centrale. E fino a ora Governo, Regioni e Comuni sono rimasti spettatori immobili di quello che può essere definito uno sfruttamento delle risorse italiane. Le istituzioni, con il loro silenzio, stanno forse creando un pericoloso precedente, e niente assicura che anche altre aziende possano agire in questo modo. Non si tratta di contrastare una grande azienda, quanto piuttosto di mantenere un ruolo di primo piano nel settore delle telecomunicazioni, facendo anche investimenti non di poco conto, ma guardandosi dal rischio che una qualsiasi società possa agire indisturbata, continuando a beneficiare degli stanziamenti di Regioni, Università o qualsivoglia ente statale.