Eternit: dove non può l’uomo può il tribunale della coscienza

La vita è diritto fondamentale, bene innegabile, miracolo inestimabile.

Sono queste le belle parole su cui l’umanità afferma di fondarsi. La stessa umanità che ancora oggi, e siamo nel Ventunesimo secolo, riesce a cedere alla tentazione del potere, della fama e del denaro, nonché a quella di una vita basata su soddisfazioni ed ambizioni materiali.
Un esempio di questa «sindrome» lo troviamo in provincia di Alessandria, a Casale Monferrato, dove è sorto per quasi 80 anni il più grande stabilimento di Eternit in Italia: una scandalosa vicenda di uomini, donne, anziani e bambini che si sono visti sottrarre la possibilità di vivere serenamente la propria esistenza a causa dell’aria contaminata dalle particelle di amianto che, una volta entrate nei loro corpi, gli hanno portato via tutto.
Questo accadeva agli inizi del secolo scorso, all’apertura della fabbrica, ed è così ancora oggi, nel 2014, nonostante la fabbrica sia chiusa. A più di cent’anni di distanza siamo qui a combattere contro questa terribile malattia, il mesotelioma, e a combattere per ottenere giustizia per quei tremila innocenti che non hanno potuto farlo.
Qualcuno però era a conoscenza della natura letale dell’amianto: coloro che hanno creato il mostro Eternit sapevano che il rischio era altissimo, sapevano che tutti quei padri di famiglia che lavoravano in quella fabbrica per portare un po’ di cibo a casa avrebbero potuto morire a causa del lavoro che facevano, sapevano che le mogli, le madri, le sorelle, le figlie avrebbero potuto contrarre la malattia lavando la divisa o stando vicine al loro caro. Loro lo sapevano. Sapevano inoltre che i figli senza colpa di queste famiglie avrebbero potuto respirare la polvere anche solo andando a scuola, anche solo giocando nei dintorni della fabbrica. Loro sapevano tutto.

Eppure la consapevolezza del rischio non è bastata a fermarli, e oggi migliaia di persone continuano a respirare un’aria contaminata, continuano ad ammalarsi e continuano a lasciare famiglie distrutte e vuoti incolmabili.
Ci sono stati processi, manifestazioni e proteste portate avanti da persone provenienti da tutto il mondo per tenere viva la memoria, per impedire che una vicenda del genere possa ripetersi in futuro. Ma soprattutto per chiedere giustizia.
Pochi giorni fa la Cassazione ha dichiarato il caso Eternit caduto in prescrizione. Ma, e credo di parlare a nome di tutti coloro che stanno conducendo questa battaglia, qui non ci si arrende; Casale Monferrato, che è stata sede del più grande stabilimento Eternit, non si arrende.
Non chiediamo vendetta, basterebbe un aiuto, un segno di rispetto e soprattutto un atto di coraggio: i responsabili dovrebbero avere l’umiltà di chiedere pubblicamente scusa. Dovrebbero farlo guardando negli occhi le madri, i padri e i figli di quelli che, per colpa loro, non ci sono più.
Il desiderio che ognuno di noi ha è di condurre una vita felice con chi ci ama, una vita fatta di passeggiate in città, di viaggi, di Natali passati insieme, di discussioni per i brutti voti a scuola, di festeggiamenti e di tutte quelle piccole soddisfazioni quotidiane che noi diamo spesso per scontate. Ecco, molti di noi sono stati privati di questa felicità.
Nessuna delle vittime dell’Eternit dev’essere morta invano, non possiamo permettere che si dimentichi. Chi di dovere deve ammettere le proprie colpe davanti al tribunale della sua coscienza.

Francesca Allolio

Eternit