Family planning: la strategia per ridurre la natalità africana

La sovrappopolazione sta diventando un problema sempre più rilevante: secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale passerà da 7.7 miliardi nel 2019 a 8,5 miliardi nel 2030, poi a 9.7 miliardi nel 2050 e fino a 10.9 miliardi nel 2100. Si stima che tale crescita non sarà uniforme, bensì nell’Africa Sub-Sahariana ci sarà il massimo tasso di crescita fino ad arrivare a un raddoppiamento nel 2050. Altre regioni ad alta crescita sono l’Oceania (con l’esclusione di Nuova Zelanda e Australia) e l’Africa Settentrionale/Asia Occidentale.

La crescita demografica impatta in modo estremamente significativo sulla carbon footprint umana: il suo effetto sulle emissioni di CO2 è stato analizzato da O’Neill e colleghi («Global demographic trends and future carbon emissions» Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 2010) basandosi sulle proiezioni delle Nazioni Unite del 2003. Secondo i risultati dello studio, le emissioni di CO2 crescerebbero in modo drammatico con l’aumento della popolazione: nel caso di massima crescita, si arriverebbe a più di 30 tonnellate di CO2 all’anno alla fine del secolo.

Uno dei passi per affrontare il surriscaldamento globale è, quindi, cercare di limitare la crescita demografica, soprattutto nei Paesi dove è più alta, per esempio l’Africa Sub-Sahariana. Mediamente, una donna in quest’area ha 5,1 gravidanze durante la vita (secondo il calcolo delle Nazioni Unite del 2011), di gran lunga superiore rispetto alla media globale che si attesta a 2,5; significativamente maggiore anche dell’India, in cui è 2,2, e della Cina, in cui è 1,7.

Nell’Africa Sub-Sahariana i figli vengono considerati uno status symbol, cioè un simbolo di benessere: questo principio viene definito «children as wealth». In questo senso, l’atteggiamento che guida le scelte riproduttive può essere definito conformista: il paradosso di questa situazione è che, finché tutte le famiglie hanno un alto numero di figli, nessuna singola famiglia sceglierà di averne meno; al contrario, se tutti gli altri nuclei famigliari riducessero la propria fertilità allora ogni altro nucleo vorrebbe fare lo stesso. Si crea dunque un circolo vizioso in cui si mantiene uno stile di vita peggiore con molti figli, mentre si potrebbero avere meno figli ma uno standard di vita più elevato: un’opzione che probabilmente tutti preferirebbero, ma nessuno mette in pratica.

Un recente lavoro di Bongaarts e colleghi («Can Family Planning Programs Reduce High Desired Family Size in Sub-Saharan Africa?» International Perspectives on Sexual and Reproductive Health, 2011) analizza il ruolo del family planning e di messaggi sui mass media che possono influenzare le scelte di fertilità della popolazione. I programmi di family planning si occupano principalmente di fornire alla donna le informazioni necessarie per compiere una scelta consapevole sul numero di figli desiderati: dati e accesso ai metodi contraccettivi, informazioni sulla mortalità neonatale e così via. Tali iniziative dovrebbero avere effetto poiché riducono i costi dei contraccettivi, forniscono informazioni riguardo i metodi disponibili e dove ottenerli. Tale approccio aumenta l’accettabilità sociale dei metodi per il controllo delle nascite e allo stesso tempo contraddice credenze popolari; infine, permette di illustrare efficacemente i vantaggi di famiglie di piccole dimensioni.

Il family planning dovrebbe dunque essere una priorità per molti governi: sono un eccellente metodo per permettere alle coppie di decidere in modo consapevole il numero di figli desiderati. Purtroppo, numerosi Stati hanno finora scelto di non investire in questo ambito e un motivo importante è la convinzione che i programmi informativi non avrebbero successo data la forte propensione per un modello di famiglia ampio in Africa. In realtà, questo atteggiamento porta a un circolo vizioso: se non si interviene con campagne mirate la tendenza rimarrà probabilmente la stessa anche in futuro.