Il peccato atavico del femminicidio

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In Italia ogni tre giorni una donna viene ammazzata dal suo compagno, spesso a mani nude: percosse, strangolamento o soffocamento, tanto per fare qualche macabro esempio. I motivi sono quasi sempre banali: lei voleva lasciarlo, oppure l’ha disturbato mentre guardava la partita, l’insalata aveva troppi pomodori. Sciocchezze insomma, ma in grado di scatenare la violenza più cieca verso la persona con cui si ha scelto di condividere la vita. Nel resto del mondo non va molto meglio e i dati dicono che non c’entrano livello di istruzione, classe sociale, credo religioso. «Uomini che odiano le donne» insomma, o perlomeno sono in molti ad odiarle davvero, al punto che non pare esagerato dire che per le donne che vivono con un uomo spesso la propria casa non è affatto il luogo più sicuro. D’altronde se, com’è logico sia, il femminicidio è la punta di un iceberg, questo deve avere la base piuttosto larga. Le donne sanno cosa vuol dire essere amate da un uomo nel modo sbagliato, anche quando non sono mai state picchiate: quel modo di sminuirci, le critiche al nostro aspetto fisico, al modo di vestirci, quel non essere mai considerate abbastanza brave «a fare la mamma», a cucinare, a letto, a fare qualunque cosa, quel subdolo imporci cose e frequentazioni che non ci piacciono, quel modo di tenerci sempre «basse», come se avessimo un piede sulla testa che ci spinge giù. Guai farlo notare all’uomo in questione, negherà e ci accuserà di essere delle povere paranoiche. Questo perché molti maschi ancora non riescono a considerare la donna pari a loro. È una questione atavica, in parte anche comprensibile, perché per migliaia di anni l’uomo ha avuto in famiglia e nella società il ruolo di capo indiscusso, sia dal punto di vista morale che economico, e in vista di questo è sempre stato educato e il cambio di usi e costumi avvenuto negli ultimi cinquant’anni pare non aver influito più di tanto sulla mentalità corrente. La cosa è tristemente evidente anche a scuola: gli studenti, se intervistati sulla parità di genere, esprimono ancora gli «stereotipi» più gretti del tipo l’uomo lavora e porta a casa i soldi, la donna cucina, pulisce e si occupa dei figli, le donne pensano solo a truccarsi e vestirsi, le donne provocano, l’uomo può tradire la donna no, le donne sono inferiori ai maschi e avanti con altre amenità. Stereotipi che spesso sono trasmessi alla prole maschile dalle stesse mamme, vittime di quell’incredibile «cortocircuito» per il quale magari reclamano il rispetto dei loro diritti, ma poi vedono in tutte le altre donne delle «poco di buono» da tenere al loro posto. Non solo, ci sono donne, ne conosco anch’io, che pur avendo subito dal proprio compagno ogni genere di nefandezze, fisiche e/o psicologiche, se ne lamentano ma se lo tengono, sostenendo di amarlo, anche se è impossibile che amino davvero individui del genere.
Ho esagerato? No, non credo proprio, ho solo il difetto di dire cose sgradevoli che spesso si preferisce tacere, ma lo faccio per invitare a riflettere tutti, maschi e femmine, sugli errori che commettiamo e che ci portano a mantenere ed alimentare queste tragedie che si perpetuano ogni giorno. L’omicidio di una donna da parte del compagno è la conseguenza più eclatante di una realtà che quotidianamente, in molte case, si consuma ai danni di donne vittime di uomini che non sanno controllare lo stress e le proprie frustrazioni. È compito di tutti noi, nessuno escluso, contribuire a cambiare una mentalità sbagliata che vede il maschio prevalere sulla femmina e dobbiamo farlo in fretta, perché potrebbe essere in pericolo la nostra amica, nostra sorella, nostra figlia.