Francia: l’integralismo è anche causato dalla politica

È da più di due anni che la Francia viene chiamata in causa per colpa dei frequenti attacchi terroristici di matrice islamica di cui è vittima. Ma per pensare di risolvere il problema, perché di un problema si parla, sarebbe utile agire alla sua fonte. È possibile ricondurre il problema a una causa che si riduce nell’ingente numero di immigrati di religione islamica, o di cittadini francesi di origine nordafricana, dove la Francia aveva i suoi possedimenti coloniali? La risposta è: assolutamente no.
Il fattore terrorismo non può auto-generarsi senza essere prima cresciuto e venire poi fomentato da agenti esterni, che hanno contribuito in maniera ingente ad accendere la miccia di un ordigno pericolosissimo.
L’ambiente di cui si parla è quello socio-culturale francese, in particolare delle misure attuate nelle sue politiche di integrazione (interventi legislativi e amministrativi che regolano i flussi migratori e la convivenza di diverse etnie nello stato ospitante). Il modello francese risponde al nome di modello assimilativo. Lo straniero diventa a pieno titolo un membro di una nuova comunità. Lo straniero viene integrato in un modello civico nazionale unitario per diventare a tutti gli effetti un cittadino francese: acquisire la cittadinanza significa abbandonare tutti i simboli e/o i comportamenti che vanno a identificare la cultura o la religione di tal individuo.
Ma, concretamente, come si vede attuato il modello assimilativo? Un esempio valido e immediato ci è fornito in tutte le mense scolastiche francesi. Per un bambino che vive in Francia di religione islamica non è possibile avere, all’interno del servizio di mensa offerto dalla struttura scolastica, un menù speciale che escluda i cibi che egli non può mangiare (come le carni di maiale) per ragioni religiose. Le ragazze islamiche, altro esempio, non possono portare il velo (questione politico legislativa che risale al 1989 con il primo affaire du foulard).
Il modello assimilativo  non fa assoluta distinzione tra gli individui da un punto di vista culturale né religioso, in quanto l’integrazione viene intesa come un’uguaglianza di trattamento per tutti, che si riflette nella totale neutralità e laicità dello Stato. Ma siamo assolutamente sicuri che la conformazione socio-culturale riduca davvero i conflitti?
Risultano evidenti i limiti di tale modello. La libertà d’espressione individuale viene ridotta drasticamente, aumentando invece i livelli di discriminazione, pregiudizio, difficoltà di inserimento e xenofobia.
Alla luce di tali considerazioni non si può considerare ininfluente un clima sociale così chiuso, in cui la libertà di espressione culturale cozza sia con la tradizione della comunità, schieratasi su di un fronte laico e neutrale, sia con la legislazione stessa del Paese. Relegare le tradizioni e le appartenenze culturali significa reprimere una parte consistente dell’identità di una persona, che in pubblico deve indossare una sorta di maschera che non gli permette di mostrare le sue peculiarità. Si è costretti a scomparire nell’uniformità, fingendo di essere chi non si è realmente.
Ciò costituisce un focolaio che, con le sue braci, fomenta il senso di oppressione delle minoranze etniche, in particolare quella islamica, così presente nel tessuto sociale francese. Nascono così la separazione tra le parti, il distacco e l’odio, che sfociano poi in atti violenti di coloro che scelgono come via di ribellione all’oppressione la radicalizzazione del loro credo religioso.
Questa non vuole essere una giustificazione, bensì una provocazione: vogliamo veramente affibbiare la colpa a una sola delle due parti?