Franceschini: le solite promesse

Lunedì 13 ottobre il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini è stato ospite di un convegno organizzato dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, a cui erano presenti anche numerosi direttori museali sia italiani sia europei, come M. Roth del Victoria & Albert Museum di Londra, e i rappresentanti delle più importanti soprintendenze italiane ed europee. Il ministro ha parlato della rottura di alcuni tabù, tra cui «pensare che tutela e valorizzazione del patrimonio siano nemici, ovvero che il pubblico sia incompatibile con il privato e che il turismo sia incompatibile con la cultura». Ha poi proseguito dicendo di credere «in un meccanismo virtuoso come il museo diffuso»; mira dunque a valorizzare i luoghi della cultura e a dare delle linee guida ai direttori dei musei per le tariffe.

Il ministro poi è tornato a parlare di Art Bonus, vantandosi poiché nessun paese europeo prevede un provvedimento simile e sfidando anche i privati ad investire nella cultura. A questo proposito, Franceschini nei giorni scorsi ha «riattivato» una legge esistente già dal 1982, la quale prevede che chi avesse difficoltà a saldare i propri debiti con lo Stato può offrire al fisco, al posto del denaro, un bene artistico di sua proprietà. L’ultima commissione, composta da sei membri, era stata costituita nel 2010, ora il ministro ha dato il via libera alla formazione di una nuova commissione di esperti.

Ecco, ci risiamo. Il progetto di Franceschini è quello di fare dei nostri beni artistici e culturali un’enorme macchina da soldi, processo che è già in corso da anni, ma che con questa riforma rischia di subire una rapida accelerazione. Tomaso Montanari, critico d’arte, ospite alla Fiera delle Parole di Padova, ha ricordato come sempre più spesso veniamo considerati solo clienti di quel grande mercato chiamato «patrimonio culturale», il quale in realtà è solo un patrimonio commerciale. Questo business, tra l’altro, non frutta poi così tanto: allo Stato vanno circa cento milioni di euro l’anno. Ovviamente con la nuova riforma, tra musei diffusi, Art Bonus e tasse pagate con opere d’arte, il ministro punta ad incassare molto di più. D’altronde, tutto il denaro promesso dal Governo a destra e a manca, si dovrà pur trovare da qualche parte.

Agli italiani manca la coscienza di essere figli dell’arte e della storia del proprio Paese. Non si tratta di patriottismo, ma di formazione, soprattutto dei giovani, e di diffusione di una consapevolezza, di una sensibilità artistica (anche musicale, perché no. E per la musica si fa davvero poco). Saremo tutti cittadini migliori, meno incivili, più rispettosi, se ci fosse insegnato che l’arte va amata, non commercializzata.

C’è poi un altro problema, di carattere pratico: i siti archeologici e i musei rischiano di diventare sempre più affollati e ingestibili, poiché spesso manca il personale. Come dimenticare il caso del Colosseo, che il 17 maggio scorso per la notte dei Musei è rimasto aperto solo ai primi tremila visitatori per carenza di custodi? E la figuraccia del Mibact, che lo scorso agosto ha pubblicato un bando (subito rimosso con qualche scusa) rivolto ai lavoratori dell’arte e dello spettacolo il quale prevedeva di fatto che essi lavorassero gratis?

No, noi non dimentichiamo. Ma per quanto tempo saremo ancora disposti ad essere presi in giro?

 

Foto Lapresse
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