Gli anni di piombo tirati in ballo da Biloslavo contestato a Trento

Per chi frequenta la facoltà di sociologia a Trento i riferimenti a Renato Curcio e gli anni di piombo sono pane quotidiano: te lo ricordano i genitori mentre compili il modulo per l’ammissione, gli amici dei genitori quando li informi sulla tua carriera universitaria e Fausto Biloslavo su Il Giornale dopo che, a distanza di pochi giorni, gli saltano non uno, ma ben due incontri nell’Aula Kessler della facoltà. Invitato a inizio del mese scorso dagli studenti dell’Unione degli Universitari di Trento a partecipare ad un ciclo di conferenze sul conflitto in Libia in qualità di reporter di guerra, il giornalista è stato infatti costretto in un primo momento a rimandare l’impegno preso e successivamente, il 30 ottobre, a portarlo avanti tra le manifestazioni di dissenso del collettivo di estrema sinistra CUR e di alcuni studenti, contrari alla presenza in università del reporter a causa dei suoi legami con gruppi di estrema destra.

È bastato poco perché l’episodio, almeno nella provincia trentina, si trasformasse in un caso mediatico prestandosi fin dall’inizio alla più inopportuna delle strumentalizzazioni. A inaugurare la stagione di commenti sul presunto clima da anni di piombo nell’università trentina è stato Biloslavo stesso che, in un articolo comparso su Il Giornale all’indomani della prima conferenza cancellata, ha scritto: «Mi sembrava di non essere più nel 2019 in un paese libero, ma di avere fatto un salto nel tempo tornando al buio e alle prevaricazioni degli anni settanta». 

Di questa affermazione ci sono almeno due elementi che stonano: la superficiale conoscenza dell’istituzione verso cui è rivolta, su cui tuttavia si basa il giudizio del giornalista, e la retorica inadeguata utilizzata per presentare un legame del tutto inesistente tra una realtà storica passata e quella presente. Che la storia della facoltà di sociologia sia legata alle contestazioni del movimento studentesco sessantottino è un dato di fatto, ma la realtà istituzionale oggi è ben diversa e descriverla riproponendo logiche superate da anni, oltre che rischiare di fare di tutta l’erba un fascio, risulta chiaramente inopportuno. 

Nei giorni che hanno seguito l’accaduto Biloslavo ha paragonato gli atti ostili nei suoi confronti ad  una negazione del proprio diritto di libera espressione, come se ciò potesse peraltro bastare a giustificare un parallelismo tra gli anni di Curcio e la contemporaneità. Ciò di cui il reporter non sembra però aver tenuto conto nella sua critica è il sostanziale paradosso secondo il quale l’opportunità di raccontarsi offertagli dall’università è stata garantita proprio in quanto risultato di quelle contestazioni di cui lui ora descrive immaginari spettri. È evidente dunque come in questo caso le parole della firma de Il Giornale non siano interpretabili se non nel senso di una pretestuosa strumentalizzazione a danno dell’ateneo in generale e della facoltà di sociologia in particolare.

Da quel 30 ottobre a oggi sulla facciata dell’edificio che ospita la facoltà è stato affisso uno striscione: «Ho imparato a rispettare le idee altrui, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare». Una citazione di Norberto Bobbio, una frecciatina tanto a Biloslavo e alla sua fretta di giudicare tanto a chi, con modalità violente e per questo condannabili, ha contestato il suo invito in università, luogo entro le cui mura dovrà sempre trovare spazio il libero dibattito.