Ho vissuto per un anno senza comperare nessun vestito e no, non era il 2020

Già, se fosse stato il 2020 sarebbe stato troppo facile, al di là di Amazon e degli acquisti compulsivi da divano nel quale si potrebbe essere comunque caduti facile preda; infatti, l’anno passato si poteva tranquillamente trascorrere almeno per un quarto in pigiama o in tuta.

Ma no, non stiamo parlando di mode o comportamenti derivanti dal lockdown, bensì da una presa di coscienza e dall’esperienza personale.

Questo esperimento è iniziato esattamente il 1 gennaio 2019, per poi finire in realtà un poco prima il termine dell’anno solare, ovvero nei primi di novembre, a causa di un viaggio di lavoro non programmato.

In ogni caso, la spinta è stata derivante da anni di esperienza diretta sul campo della sartoria e su quello di studi del settore abbigliamento.

Soprattutto, è stata decisiva la conoscenza del fatto che diverse industrie del settore erano arrivate a punti di non ritorno e quasi inaccettabili in un paese civile, o al fatto che alcuni tessuti sono colorati con più di venti bagni in vasca e con il conseguente inquinamento dell’acqua.

I motivi possono essere tanti, ma al dì là di questi, seppure importanti, c’è chi sicuramente si chiede più concretamente: si può uscire e avere una vita sociale accettabile senza innovare per forza il proprio armadio?

La risposta è: assolutamente sì!

Oltre alla consapevolezza di quanto sia inappropriata una parte della produzione di massa a cui si potrebbe dedicare un articolo nello specifico, nell’ambito dell’abbigliamento sicuramente la spinta più grande è stata proprio il vedere una montagna di indumenti perlopiù inutili accumularsi in camera da letto: accessori, giacche, pantaloni e scarpe, tutte cose che viste nel marasma dei giorni lavorativi sembrano sempre non essere adatte o adattabili alle molteplici situazioni della giornata o della settimana.

Come fare quindi a essere più consapevoli?

Una delle prime azioni intraprese è stata quella di frenare quell’impulso di comperare qualcosa di nuovo perché bello. Non è un hamburger, non è fame, ma un bisogno indotto quello del vestiario.

La domanda è stata : avrò bisogno di quella cosa tra 24 ore?
Spoiler, spesso la risposta era no.

Ovviamente, però, il nostro è un mondo complicato e la questione può essere resa difficile: e se, ad esempio, ci fosse un evento a cui non si è pronti con il dress code?

Nessuna paura, qui arriva la seconda azione da intraprendere: avere idee chiare sui colori e sui tagli. Sapere, ad esempio, che si possiede già una giacca di un colore che si sposa perfettamente con un paio di pantaloni presi a caso dal proprio guardaroba, risolve già una gran fetta di prolemi.
Perciò, avere una mappa dei colori stampata in cui si possono vedere con chiarezza quali sono quelli che si sposano sempre bene, in diverse occasioni, fa risparmiare tempo e denaro.

Infine, il terzo concetto di base con cui si resiste alla tentazione è certamente un lavoro su se stessi: il vestito si compra per soddisfare una propria insicurezza, ma se quella insicurezza è invece colmabile con una serata tra amici, un bel film o una qualsiasi azione che ci renda felici, allora ci sentiamo a nostro agio ed improvvisamente le insicurezze fisiche o caratteriali scadono, almeno quel tanto da dedicarsi ad altro.

Ricapitolando, quindi, si può iniziare a fare un percorso di disintossicazione dallo shopping compulsivo, iniziando da tre semplici mosse:

fare la verifica delle 24 ore, pensando ovvero di stoppare per un giorno l’impulso a comperare;

fare una mappa dei colori che meglio si sposano (facilmente scaricabile da internet) e perché no, farsi anche aiutare dalle forme e dai tagli che meglio si sposano tra loro, questo crea combinazioni prima inesistenti davanti ai nostri occhi;

infine, chiedersi se non stiamo semplicemente comperando perché comandati da una necessità indotta o fittizia che nulla ha a che fare con una reale necessità.

State andando in giro nudi?
No, pare ancora di no.