Inquinamento: cos’è la congiura delle vacche?

La scorsa settimana abbiamo potuto assistere a un botta-risposta tra Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, e Andrea Pinchera, direttore della comunicazione per Greenpeace Italia. Oggetto della discussione è stato il controverso documentario Cowspiracy: The sustainability secret (2014), di Kip Andersen e Keegan Kuhn, il quale esplora la tesi per cui le emissioni di gas serra prodotte da allevamenti siano di gran lunga superiori a quelle dell’intero settore trasporti.

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Per intenderci: il gas prodotto dagli animali (18%) che alleviamo per mangiare supera quello di automobili, treni, navi e aerei tutti insieme (13,5%), secondo un rapporto Fao del 2006. La domanda sorge spontanea: come mai non ne sappiamo nulla? Perché non è la prima cosa a cui si pensa quando si parla di cambiamento climatico? Questi quesiti, posti da Kip Andersen durante il film, restano inesausti; alla richiesta di un’intervista con i responsabili di Greenpeace, riceve diniego un paio di volte mentre dalle altre organizzazioni solo risposte evasive.
De Mauro ne parla nel suo ultimo editoriale, adducendo come motivi della reticenza sia l’impopolarità di una campagna contro carne, pesce, latte e uova, sia l’influenza dell’industria alimentare sulle scelte dei cittadini. Per cui risulta più facile per le organizzazioni – certo, hanno bisogno di iscritti per sopravvivere – non imporre dei quesiti etici che possano cambiare le abitudini individuali di ciascuno e mandare avanti altre battaglie.
Cowspiracy-InfographicDi tutta risposta, Pinchera cita il rapporto Ipcc – il comitato di scienziati coordinati dall’Onu per la ricerca sul cambiamento climatico – secondo cui in un’ottica di cento anni l’impatto dell’allevamento sia marginale rispetto a energia, trasporti e industria. Inoltre, il documentario si dimostra scorretto nel momento in cui non menziona i numerosi appelli di Greenpeace a ridurre il consumo di carne o le campagne condotte in Amazzonia per denunciare le lobby, incluse quelle degli allevamenti, responsabili della distruzione della foresta.
Che sia o meno un’apologia del veganesimo, poco importa: il merito di Cowspiracy è l’aver sollevato una questione ancora troppo sottovalutata all’interno dei vari movimenti ambientalisti. Basti pensare ad uno dei dati più scioccanti di tutto il film: per produrre un solo hamburger servono 25 mila litri d’acqua, ovvero l’equivalente di una doccia lunga due mesi di fila. E ancora: l’agricoltura animale, coi 136 milioni acri di foresta pluviale «mangiati» a suo carico, è responsabile per il 91% della deforestazione in Amazzonia. La distruzione della foresta pluviale porta con sé a sua volta l’estinzione di 110 specie animali e di insetti ogni giorno. Numeri reali da capogiro, troppo importanti per essere ignorati dalle principali organizzazioni ambientaliste internazionali come Sierra Club, Surfrider Foundation e Rainforest Action Network.
«La congiura delle vacche» è ancora dura a morire ma i numeri del film attestano un indubitabile successo: grazie al crowdfunding su IndieGoGo sono stati raccolti fondi, equivalenti al 217% dell’obiettivo, che hanno permesso anche di doppiare e/o sottotitolare in 10 lingue. Inoltre, il redivivo-fresco vincitore di un Oscar, Leonardo Di Caprio – da sempre in prima linea per la lotta al cambiamento climatico – ha deciso di sostenere il progetto e diventarne produttore esecutivo per la versione ampliata uscita su Netflix.

Alessia Melchiorre