Intervista a Sebastiano Caputo: «Vi racconto la Siria»

Sebastiano Caputo (Roma, 22/02/1992) è un reporter italiano che collabora con «Il Giornale», «Treccani», con l’agenzia fotografica «Witness Image» ed è l’ideatore delle riviste periodiche online «Contrasti» e «L’Intellettuale dissidente».
Ha inoltre scritto il libro «Alle porte di Damasco. Viaggio nella Siria che resiste».
Sebastiano è stato anche uno dei pochissimi reporter occidentali presenti in Siria durante il periodo di marzo-aprile 2018, testimone prezioso di ciò che è avvenuto in quei luoghi lontani, i quali culturalmente sono molto più vicini all’ Italia di quanto si possa immaginare.
I suoi numerosi viaggi in Medio-Oriente, i quali hanno spaziato dall’Afghanistan all’Iran, dalla Siria al Libano e molti altri paesi, lo rendono uno tra i reporter italiani più informati ed indicati a raccontare cosa sta succedendo i quelle zone e chi sono i numerosi pezzi sulla scacchiera della guerra civile siriana.

Sebastiano, negli ultimi 3 mesi sei stato in Siria, Afghanistan, e ora ti appresti a partire per l’Iran.
Prima di tutto, cosa spinge un ragazzo del ’92 a questo tipo di avventure?

Io ho iniziato il mestiere di fotoreporter circa tre anni fa, una professione che è in via d’estinzione e che credo sia necessaria per riportare il giornalismo a quella che è la sua accezione più pura.
Questo perchè il giornalista come primo dei principi dovrebbe sempre avere la verifica delle fonti e la ricerca della notizia in presa diretta. Non basta spingere un bottone, ma occorre sentire l’odore delle cose.
Il primo reportage che feci fu in Libano, lo girai tutto quanto e fu un’esperienza che mi piacque moltissimo; da lì iniziai a viaggiare e scoprire il Medio Oriente, girandolo praticamente tutto, dal Marocco fino al Pakistan, dall’ Afghanistan all’ Iran.
Ciò che mi spinge è sicuramente una grande passione, un grande amore per queste terre ed una propensione per questi popoli che spesso sembrano diversi da noi ma in realtà ci possono insegnare tanto e riportare ad un pensiero ed una identità che noi abbiamo perso.
Io mi sono concentrato su quest’aerea perchè qui ho rivisto quell’Italia degli anni 50 e 60 che mi hanno sempre raccontato i miei nonni, una terra in cui la modernità non ha ancora invaso tutti i campi dell’esistenza e dove ancora valori prepolitici come la solidarietà, il rispetto per la parola data e il senso di comunità sono ancora vivi.

Parliamo di Siria.
Più volte hai segnalato l’incoerenza e soprattutto le violazioni che i paesi occidentali (Francia, Inghilterra e U.S.A. su tutti) hanno compiuto nell’attaccare militarmente un paese sovrano che da anni viene flagellato da un sanguinoso conflitto.
Perchè, secondo te, questi paesi condividono l’aspirazione di abbattere il governo di Bashar Al-Assad?

Sin dal 2011, abbiamo ricevuto un frame ovvero una cornice mediatica da parte dei giornalisti occidentali che ci raccontava di «buoni contro cattivi», dove ovviamente i buoni erano i White Helmets, i ribelli scesi in piazza, Al- Arabyia, l’ Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, tutti questi gruppi di manifestanti che poi si sono rivelati per quello che erano.
I cattivi invece sarebbero dovuti essere Bashar Al-Assad, i suoi alleati e via discorrendo.
Urge ricordare che il «cattivo» (per modo di dire) Al-Assad, fino a all’anno prima del conflitto veniva ricevuto in pompa magna da alcuni dei più importanti capi di stato europei che facevano a gara per conferigli onoreficenze.
Tra questi vi era anche Giorgio Napolitano che, nel 2010, si recò a Damasco e pronunciò un discorso molto famoso in cui incoronava la partnership economico-culturale italo-siriana.
Improvvisamente, però, Assad divenne per gli occidentali colui che non rispettava la democrazia, che brutalizzava e gasava la sua gente.
È chiaro che le vere colpe di Assad non sono certamente queste, forse qualche colpa gliela si può addossare, ma non è certamente facile gestire una situazione come quella in cui è ricaduto, ovvero essere il leader arabo più perseguitato dalla comunità internazionale.
Il problema più grande di Assad, però, è certamente stato il fatto di essere il più grande alleato della Russia in Medio Oriente, garantendogli l’accesso ai mari caldi e alcune basi militari sul territorio.
Tuttavia, la Russia è grande alleata anche dell’Iran e, di conseguenza, per Teheran, Damasco insieme a Beirut fa da terminale per la cosidetta «Mezza Luna Sciita», una alleanza trans-nazionale di tipo geostrategico-religioso che è resuscitata in questi anni, nonostante la si volesse indebolire ed abbattere con la nascita di quello che conosciamo come Daesh, lo Stato Islamico.
Sta di fatto, però, che è la Mezza Luna Sciita ad aver giocato il ruolo maggiore nella distruzione dell’ISIS sul territorio.
La colpa di Assad è anche quella di aver detto no ad un gasdotto Qatariota che doveva arrivare in Turchia passando per il territorio Siriano.
Insomma, probabilmente il suo maggior problema è stato quello di essere il leader di un paese laico dove il mosaico etnico-culturale veniva governato in maniera pacifica, e dove la convivenza era equilibrata e paritaria tra tutte le comunità presenti.
Sappiamo bene che all’Occidente questi governi laici in medio oriente piacciono poco (ricordiamo ad esempio la Libia) e ogni volta, infatti, vengono puntualmente destabilizzati.

Nell’ultimo mese abbiamo letto e riletto ovunque dei presunti attacchi chimici avvenuti a Douma ad opera del governo di Bashar Al-Assad.
La campagna mediatica che ne è scaturita ha raggiunto ogni casa italiana, accompagnata da prese di posizione (talvolta abbastanza stucchevoli) di molti personaggi pubblici.
A tuo avviso, qual è lo scopo di quella che, con il senno di poi, ha tutti i tratti di una macchinazione?

Posso dirti che durante il mio ultimo reportage in Siria, precisamente il 13 marzo 2018, fui invitato ad una conferenza organizzata da generali russi e siriani dopo che essi avevano riconquistato la parte occidentale della Ghouta, in cui rendevano noto alla stampa presente (io ero l’unico italiano) che di li a poche settimane avrebbero riconquistato anche la parte riconducibile a Douma.
Avvertivano, quindi, che di lì a poche settimane ci sarebbe stata una campagna mediatica nella quale si sarebbe accusato il regime siriano di fare uso di armi chimiche, e questo perchè sarebbe stata l’unica arma a disposizione delle fazioni ribelli presenti nella Ghouta (ricordiamo che stiamo parlando di fazioni terroristiche) che stavano perdendo.
Si trattava, perciò, dell’opportunità per loro di fare un assist alla comunità internazionale, con immagini e video che in qualche modo denunciavano l’uso di armi chimiche.
In effetti qualche settimana dopo, partì in tutto il mondo occidentale la campagna mediatica, ma abbiamo visto con il passare del tempo come questa denuncia fosse infondata, al punto che i pochi ancora a parlarne sono i diciassette presunti testimoni sopravvissuti a questo attacco i quali al tribunale dell’ Aja hanno spiegato che non si trattò di sostanze chimiche, ma piuttosto di una messa in scena tramite operazioni di spin mediatico, cioè notizie fabbricate e orientate per interessi strettamente politici.

La guerra civile siriana ha avuto inizio dalle dimostrazioni di piazza del 2011, le quali parevano inizialmente essere legittime richieste di maggiori libertà da parte dei cittadini siriani.
Sette anni dopo, cosa ha trasformato delle proteste in un violento conflitto fatto di schieramenti tanto diversi quanto internazionali?
Ci racconteresti qualcosa in più sugli attori in campo?

Sì, tutto cominciò con le prime manifestazioni del 2011  a Dar’ a, nella parte meridionale della Siria, si viveva il contesto delle primavere arabe, ed era anche un po’ una moda quella di scendere in piazza.
Manifestazioni come quella, infatti, vennero fatte in tutti i paesi arabi, dal Marocco alla Libia.
La prima cosa che feci durante la mia prima esperienza in Siria nel settembre del 2015, fu quindi andare a cercare delle persone che avessero partecipato a tali manifestazioni.
Parlai, innanzitutto, con i deputati che in un primo momento avevano appoggiato le proteste e mi spiegarono abbastanza chiaramente che in pochissimo tempo decisero di togliere il loro sostegno a questi movimenti, perchè le manifestazioni erano diventate ingestibili e le infiltrazioni terroristiche all’ordine del giorno.
Questo accadde anche ad Dar’ a, dove mi venne raccontato di come gli slogan si trasformarono dai classici «basta corruzione, più democrazia e più libertà», a «i Cristiani a Beirut gli Alawiti nella tomba» in tre giorni.
I toni erano cambiati radicalmente, ma tutto sommato a sette anni dall’inizio del conflitto sappiamo perfettamente come quelle manifestazioni siano state usate da gruppi terroristici per creare una rivolta armata, facendo affluire combattenti ed armi dall’estero col sostegno di alcune potenze straniere.
In un primo tempo abbiamo avuto l’Esercito Libero Siriano, una minoranza che però venne divorata da Al-Nusra, ovvero il ramo siriano di Al-Qaeda.
A partire poi dal 2014, quando a Mosul nacque ISIS, molti combattenti che stavano prima con i succitati due gruppi sono passati con ISIS.
Questa è grosso modo la situazione.

Spesso e volentieri sentiamo parlare di «White Helmets», chi sono e che ruolo svolgono nel conflitto?

Si definiscono come ONG, ma è evidente che sia una organizzazione molto più che governativa, avendo sede in un paese coinvolto al 100% nel conflitto come la Turchia.
Venne fondata dall’ex-agente del MI6 James de Mesurier con fondi americani, venne appoggiata da tutto il sistema di Hollywood, nonché da Netflix che ne fece una serie tv e da molti attori americani.
Abbiamo visto poi come questa organizzazione spesso e volentieri dichiarasse di essere nei luoghi del conflitto senza esserlo realmente.
Abbiamo visto anche filmati ed immagini di combattenti i quali prima imbracciavano un Kalashnikov e poi indossavano un caschetto bianco, ed abbiamo visto pure che persino gli americani hanno congelato i fondi a loro sostegno.
Io ho un ricordo personale circa i White Helmets che mi riporta ad Aleppo est dopo la riconquista.
Mi feci portare nei quartieri occupati, distrutti, e ricordo perfettamente come il loro quartier generale fosse a 50 metri esatti dal quello di Al-Nusra.
È palese, dunque, che questa organizzazione fosse collusa con i gruppi terroristici fin dall’inizio.

È fondato affermare che i ribelli siano diretti e finanziati dalla coalizione a guida U.S.A. ?

Nelle fazioni ribelli ci sono tante sigle.
Diciamo che pubblicamente hanno sempre sostenuto le forze democratiche siriane, ma è evidente che sottotraccia i signori della guerra che spesso sono occidentali, hanno fatto arrivare armi ai gruppi terroristici, perchè quando i villaggi e le città venivano riconquistate si vedevano armi di fabbricazione straniera.
Ciò che è certo è che venne rinvenuto un ormai noto video che ritraeva l’Ambasciatore americano Ford che nel 2012 passeggiava con i ribelli: il chiaro segno di come gli Stati Uniti sostenessero questa rivolta armata.
Anche se non si volesse credere che le potenze occidentali abbiano armato e sostenuto questi gruppi, basta osservare come ogni volta, nelle loro azioni, siano andate a colpire l’Esercito Arabo Siriano, indebolendolo e creando di fatto le condizioni per la avanzata dei gruppi terroristici.
In ogni caso il copione pare lo stesso di quello già recitato ai tempi dell’invasione americana in Afghanistan, dove gli americani sostennero i Mujaheddin in chiave anti sovietica.
Fondamentalmente per capire il presente basta studiare la storia.

Quasi chiunque si sia interessato in questi anni al conflitto siriano, ha una percezione della guerra lontana, irrealistica.
Al giorno d’oggi, cos’è la guerra? Come la vive un cittadino siriano medio e come ha ridotto una delle nazioni più evolute del Medio Oriente?

La cosa interessante da dire è che la vita dei siriani non era troppo dissimile dalla nostra, questo perchè i diritti individuali, nonostante tutti i suoi evidenti problemi interni, erano presenti in Siria.
Questo ha fatto si ad esempio, che molti nostri coetanei ai quali la guerra venne portata in casa senza possibilità d’appello, iniziassero una resistenza imbracciando le armi.
Tutto ciò ha dell’incredibile, soprattutto se pensiamo al fatto che si trattava di gente che aveva si fatto il servizio militare, ma mai avrebbe potuto aspettarsi una cosa del genere.
La maggior parte dei siriani dunque, invece di scappare, di prendere il primo volo, è rimasta a difendere quella Siria che ha sempre conosciuto.
Queste a parer mio sono le più belle testimonianze che si possano raccogliere sul campo, perchè parliamo di ragazzi come noi che si sono ritrovati a difendere la propria patria, i propri villaggi e la propria costituzione laica e multiconfessionale.

Le notizie che ci giungono sulla situazione siriana sono affidabili, o si dovrebbe diffidare di tutte quelle fonti come l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani o le agenzie di stampa, che spesso ci raccontano gli avvenimenti da comode postazioni cittadine?

L’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, di cui ho scritto più volte, è il portavoce dei ribelli, ma ha sede a Coventry (Londra) ed è registrato a nome di una sola persona, perciò risulta assolutamente poco attendibile.
Sono molto più importanti le notizie in presa diretta, che uno ottiene andando sul campo, ma è anche vero che non esiste una imparzialità da parte di chi va sul territorio, perchè chiunque riporterebbe un proprio punto di vista.
Io stesso ho riportato un punto di vista, ma non credendo ne nell’imparzialità ne nell’obiettività non me ne importa nulla, io credo infatti che il punto di vista di chi scrive dovrebbe essere il più vicino possibile alla verità, ma dato che quest’ultima intesa come assoluta non esiste, è sicuramente più autorevole il parere di chi sia stato sul campo rispetto a quello di chi parla e scrive da lontano.
La cosa importante è dubitare sempre di tutto ed essere autonomi sul piano intellettuale, incrociando le fonti con i punti di vista e sapendo che questi ultimi sono appunto semplici punti di vista.

Che cosa, in concreto, si potrebbe fare per aiutare la Siria ed il suo popolo e, secondo te, cosa potrebbe comportare per i siriani l’ulteriore incremento della politica di aggressione occidentale?

Ho scritto un libro e fatto più di 60 conferenze in Italia sul tema siriano, ed ogni volta che, alla fine di queste, mi veniva posta la medesima domanda, non sapevo come rispondere.
Poi ho pensato di aprire in Italia un ufficio di rappresentanza di una organizzazione umanitaria francese che si chiama SOS CHRETIENS D’ORIENT (Cristiani d’oriente ndr), dopo averli conosciuti uno dei miei tanti viaggi.
Credo possa essere un modo interessante di aiutare la gente siriana, perchè si da la possibilità a dei giovani di partire come volontari per questi paesi (loro sono presenti in Libano, Siria, Egitto, Iran, Iraq, Giordania) e di portare perciò un aiuto concreto.
Per chi non se la sentisse di partire come volontario, c’è poi la possibilità di fornire un aiuto economico con la consapevolezza che i soldi donati verranno gestiti e consegnati direttamente sul posto dai volontari e investiti in consistenti opere umanitarie.
Abbiamo già una squadra di volontari da mandare lì il prima possibile, e da settembre partiremo anche con la campagna informativa in modo da coinvolgere più gente possibile ed aiutare concretamente la Siria e tutti quei paesi che in un modo o nell’altro ne hanno bisogno.
Tutto ciò attraverso i cristiani d’oriente, che sono comunità plurisecolari fondanti e fondamentali di quel sistema di multiculturalità di cui abbiamo parlato prima.

Quali interessi sono in gioco per l’Italia? Come dovrebbe comportarsi il nostro Paese? 

L’Italia è il primo partner commerciale europeo della Siria, perciò il nostro maggior interesse deve essere quello di lavorare per la stabilità, di riaprire la nostra ambasciata e dei canali diplomatici, commerciali e culturali.
Questo perchè con la Siria avevamo tanti accordi, anche universitari, per scambi scolastici e lavorativi, basati su una comune cultura romana, mediterranea e se vogliamo anche cristiana.
È fondamentale far sì che tutto ciò torni come prima ed anche migliore.

Infine, chiunque segua le tue avventure, ha letto almeno una volta: «La Siria mi ha fatto ricredere in quell’umanità che noi occidentali abbiamo perso da tempo».
Che cosa intendevi?

La Siria mi ha permesso di vedere delle persone molto orgogliose, dignitose, che hanno perso tutto e si sono ritrovate gettate in una vita completamente diversa da quella che avevano prima e che mai avrebbero potuto immaginare.
Ecco, loro hanno riscoperto delle forze e delle energie incredibili, che io vivendo, dormendo e parlando con loro, ho potuto interpretare come una grande umanità.
Nonostante noi occidentali viviamo in una società di benessere, paradossalmente mi sono sentito molto più uomo li, mentre spesso in Italia mi sento un individuo consumatore e basta.
Laggiù, invece, ho potuto sentirmi come immerso in una comunione di persone in carne ed ossa.
Sono sensazioni che i nostri nonni conoscevano e delle quali noi abbiamo memoria, ma io andando li ho potuto provarle per la prima volta sulla mia pelle.