Juventus-Napoli: l’immobilismo italiano in una partita

Il calcio, che piaccia o meno, è un fatto umano diffusamente praticato e seguito. In quanto tale non può che riflettere tempi, approcci e visioni sociopolitiche della società che lo pratica. A partire dalla leggendaria partita di Natale, che vide fronteggiarsi la prima linea francese e quella tedesca nella terra di nessuno durante la Prima Guerra Mondiale, la storia recente è piena di aneddoti e personaggi significativi legati alla sfera di cuoio e a tutto ciò che circonda il suo rotolare.

Venendo ai fatti contemporanei, la Serie A, minacciata nello svolgimento (ma soprattutto negli introiti) dal coronavirus, lo scorso weekend ha regalato un esempio plastico di inefficienza organizzativa, rimpallo di responsabilità e cinismo all’italiana. Juventus-Napoli, partita di cartello in programma domenica sera a Torino, a rigor di logica e di protocollo ordinario non s’aveva da giocare, dopo il caso abietto sotto il profilo sanitario del match della settimana prima, Genoa-Napoli, disputato regolarmente nonostante la positività al covid-19 di due effettivi della rosa dei Grifoni durante le ore precedenti la partenza verso lo stadio avversario. Manco a dirlo, il Genoa è atleticamente crollato negli ultimi minuti, rimediando un 6-0 secco, salvo poi scoprire un focolaio interno allo staff e ben 22 positività nei giorni successivi, a cui si sono uniti anche un paio di tesserati della formazione partenopea.

Il ragionamento è molto semplice: se si partica uno sport di contatto, nel cui svolgimento abbondano sudore, sputi, lacrime in libertà, abbracci, baci, strette di mano tra avversari e compagni in nome di una ricerca della normalità perduta che richiama quella di El Dorado e. allo stesso tempo, mascherine e precauzioni sono ridotte al minimo nell’ambito degli addetti ai lavori, la diffusione del virus è assicurata e le probabilità che il focolaio si duplichi sono altissime. In ogni altro ambito, una situazione del genere avrebbe portato alla quarantena di tutte le persone coinvolte, ma il calcio no, non si può certo fermare per una pandemia, è la quarta industria del Paese in una società che pone l’economia e il guadagno selvaggio al centro della propria gravità. Segno dei tempi.

E del resto vi era un protocollo solido, che predisponeva tamponi regolari a ridosso delle partite, il quale alla prima prova concreta si è sciolto come l’atletismo dei giocatori genoani. Allora si è aggiornato il protocollo, nel mercoledì antecedente Juventus-Napoli, ammettendo la possibilità di rinviare le partite, specialmente su disposizione delle autorità competenti in aspetti sociali superiori allo sport, ma mantenendo allo stesso tempo il potere della Lega di decidere se un match deve essere disputato o meno. E allora il Napoli, lasciando a casa i positivi, ha fatto per imbarcarsi verso Torino, salvo ricevere lo stop dalla ASL locale, la quale ha fiutato il pericolo di diffusione virale. E allora la Juventus ha annunciato che sarebbe comunque scesa in campo, rispettando le regole (sportive) siglate appena qualche giorno prima. E allora il Ministero ha iniziato a spingere per il rinvio, la Lega ha fatto muro per non scombinare un calendario già serrato, tutti hanno iniziato a scagliarsi contro la faccia di bronzo di Agnelli o a fomentare pettegolezzi secondo cui la decisione dell’ASL sarebbe stata propiziata dalla paura di perdere di De Laurentiis. E allora si sono fatte le 20.45 ed è iniziata la partita con una sola squadra in campo, in uno stadio vuoto, dando vita a uno spettacolo ridicolo e indecoroso sotto tutti i punti di vista. E allora sono passati 45 minuti e l’arbitro ha mandato tutti a casa, sancendo il 3-0 a tavolino a favore dei bianconeri per mancata presentazione del Napoli. Quantomeno in teoria. Perchè oggi, a giorni di distanza, l’attribuzione del punteggio, di competenza del giudice sportivo, non è ancora stata formalizzata, come non è stato formalizzato il rinvio. E probabilmente ora il togato sta scuro in volto nel suo ufficio, con la mano tremante, combattuto come Kennedy durante la crisi di Cuba, ben conscio che, qualunque sia la decisione finale, scatterà un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di proporzioni epiche.

Perchè il punto è che sportivamente ha ragione la Juventus, giuridicamente il Napoli. Il Ministero dello Sport e quello della Salute emanano direttive, ma non hanno alcuna autorità formale per scavalcare le decisioni degli organi direttivi, delle federazioni e delle ASL. Il diritto alla salute dovrebbe sovrastare quello allo sport, ma quando ci sono grossi interessi in ballo nessuno si prende la briga di ribadirlo formalmente, assumendosene la responsabilità. Scaricabarile, nebulosità normativa, confusione applicativa, malaorganizzazione generale, con sullo sfondo la silenziosa battaglia politica che intercorre tra i vertici delle federazioni sportive e il ministro Spadafora, deciso a riformare il sistema per togliere loro potere. Dovrebbe trattarsi soltanto di una partita, ma a ben vedere sembra l’Italia odierna nel suo complesso, dove non si rinvia un’attività, ma si proroga il rinvio della decisione del rinvio. Dove i tavolini sono affollatissimi quando si mangia, ma quando servono per prendere delle decisioni rimangono vuoti e tristi come l’Allianz Stadium di domenica sera.