La Costituzione è in pericolo ben oltre i tre articoli modificati dalla riforma

Un pregio che va attribuito alla riforma costituzionale su cui ci esprimeremo tra pochi giorni è che è piuttosto circostanziata, soprattutto se si pone a confronto con quella renziana, la quale riguardava quasi quaranta articoli della nostra Carta Fondamentale. Questa, invece, ufficialmente, ne va a toccare solo tre: il 56, il 57 e il 59, i quali normano, nell’ordine, i deputati, i senatori e i senatori a vita. Su quest’ultimi, torneremo più avanti.

Ora soffermiamoci sul fatto che il cambiamento, stando al numero di articoli revisionati, appare piuttosto modesto. Tra chi ha scelto di votare Sì, infatti, molti, proprio per questa ragione, rigettano l’accusa più diffusa che viene mossa dai comitati del NO, vale a dire che questa riforma provocherebbe un grave danno al nostro sistema democratico. In maniera uguale e contraria, troviamo chi si oppone a questa modifica poiché non la ritiene particolarmente pregnante e desiderebbe invece un cambiamento molto più incisivo.

Tocca, tuttavia, smentire entrambe le posizioni. Questa riduzione dei parlamentari comporterebbe molteplici ripercussioni altamente negative per la nostra democrazia, tra queste, il riflesso che il ridimensionamento del Parlamento può avere sull’iter legis che è necessario adottare per cambiare il testo della nostra Costituzione. Sappiamo che esso si differenzia dal percorso che viene intrapreso per la produzione di una legge ordinaria. Per essere approvata, questa, pur nel rispetto dei meccanismi del bicameralismo perfetto, deve passare per maggioranze e tempistiche più snelle.

Diversamente, riassumiamo in breve come si delinea la formazione di una legge costituzionale. Questa deve essere approvata da ciascun ramo del Parlamento (in assemblea plenaria o da parte della commissione competente deliberante) in due successive deliberazioni ad intervallo non inferiore a tre mesi.

Successivamente, sono previste due vie.
Se entrambe le camere hanno votato la legge a maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti, la legge può essere immediatamente promulgata dal Presidente della Repubblica, essere pubblicata ed entrare in vigore.
Se una o ambedue le camere hanno votato la legge a maggioranza assoluta dei componenti, la legge non è subito promulgata, bensì viene prima pubblicata su Gazzetta Ufficiale, ma non entra ancora in vigore. Questo per consentire, entro tre mesi dalla pubblicazione, la richiesta di un referendum confermativo.

Comprendiamo, così, che per apportare modifiche alla nostra fonte del diritto gerarchicamente sopraelevata rispetto a tutte le altre, proprio per la sua importanza fondamentale per l’intero ordinamento, occorre un’intesa ben più ampia che per qualsiasi altra legge. Ciò per far sì che non sia la momentanea maggioranza di Governo a porre mano alla Costituzione e piegarla alla sua volontà, ma che le modifiche siano, il più possibile, frutto di un un’intenzione diffusa.

Con 200 senatori e 400 deputati, tuttavia, si abbasserebbero e non di poco i numeri per rivoluzionare la Costituzione. Di conseguenza,  una pur rafforzata maggioranza, in termini assoluti, corrisponderebbe a un manipolo esiguo di parlamentari (400) che potrebbe stravolgere a suo piacimento la garanzia del nostro assetto repubblicano.

Pensiamo, inoltre, a un aspetto che sta passando in sordina, ma che è invece piuttosto rilevante. Ponendo a 5 il limite massimo di senatori a vita, si permette che ci sia un rapporto di 5/200 tra questi e il totale dei membri del Senato. In questo modo, tuttavia, si rende molto incisivo il loro ruolo, se pensiamo che ora ne abbiamo 6/315. Questo è preoccupante, dal momento che i senatori a vita non godono di legittimazione democratica, ma sono nominati dal Capo dello Stato.
Di conseguenza, queste figure, non soggette al controllo degli elettori, sarebbero, se non determinanti, molto più influenti nell’approvazione di qualsiasi legge, quindi anche di quelle costituzionali, con un peso nettamente più corposo rispetto all’attuale composizione del Senato della Repubblica.

Fatte presenti queste questioni, dovrebbe essere chiaro che la riforma sul numero dei parlamentari non ha una portata per niente leggera, ma è decisiva per le sorti della Costituzione e, dunque, della nostra vita democratica.