La portata storica della legge contro il revenge porn

Fino ad un mese fa la possibilità di vedere istituita in Italia una legge in materia di vendetta pornografica, o revenge porn, sembrava destinata a svanire in seguito all’ennesima bocciatura da parte della Camera dei Deputati. Così, quando lo scorso 2 aprile, è stata annunciata l’approvazione unanime del disegno di legge «Codice rosso», comprendente modifiche al codice penale e di procedura penale in materia di violenza di genere, questo cambio di rotta è stato percepito come un momento storico per la società italiana. Al pari dell’istituzione della legge 194 sull’interruzione della gravidanza negli anni ’70, l’introduzione del reato di revenge porn rappresenta una vittoria non solo per i suoi sostenitori, primo fra tutti il movimento femminista, ma per l’intera società civile italiana.

Al contrario di quanto si possa pensare, infatti, l’istituzione del reato di vendetta pornografica non  assume valore solo da un punto di vista penale, stabilendo una pena per coloro che diffondono materiale pornografico senza il consenso dei soggetti ritratti, ma soprattutto da un punto di vista sociale proponendo una profonda riflessione su un sistema di valori e credenze fino ad oggi considerato accettabile dal senso comune. 

Se infatti la reazione diffusa di fronte a episodi del genere è stata di norma, per uno strano scambio di ruoli, quella di colpevolizzare la vittima affermando che «se l’è cercata» o «io al suo posto non mi sarei fatta filmare», l’esistenza stessa del reato di pornovendetta pone evidentemente dei limiti tra ciò che è libero esercizio della propria volontà e ciò che invece risulta essere a tutti gli effetti una violazione dell’intimità. Frasi di questo genere risultano sbagliate sulla base dello stesso principio per cui riteniamo ogni individuo libero di agire e compiere scelte destinate a definirlo. Ridurre lo spessore morale di una donna, così come di un uomo, in base alla sua libera scelta di farsi ritrarre o meno in situazioni di intimità implica il coinvolgimento e l’applicazione della morale personale ad una situazione esterna e per questo motivo non definibile entro termini soggettivi.

«Combattere questo odioso fenomeno non è una questione di appartenenze politiche ma di civiltà» ha dichiarato dopo l’approvazione Laura Boldrini, promotrice di numerose campagne di sensibilizzazione sull’argomento e volto pubblico di una petizione, quella sull’introduzione del reato di pornovendetta, nata dal basso. Così quasi all’improvviso, in uno scenario politico più che mai frammentato, l’approvazione di questo emendamento segna la rivincita della buona politica nell’accezione che le è più propria: una politica che ha come oggetto e centro la vita comune e il suo benessere e che di fronte alle richieste dei suoi cittadini non conosce schieramento o ideologia. 

In un contesto che dovrebbe essere svincolato da dinamiche di potere e dalla stigmatizzazione del sesso, la discussione sul reato di revenge porn restituisce così centralità a chi tra le parti subisce una violazione dell’intimità permettendo di parlare non solo di vittime, ma soprattutto di colpevoli e fornendo un’importante lezione sulle responsabilità e capacità della politica di influenzare e invertire tendenze ritenute immutabili.