La questione venezuelana: simbolo dell’imperialismo

Correva il giorno 20 aprile 2018 e il Ministro degli Esteri russo Schetinin si apprestava a rilasciare una dichiarazione che, con il senno di poi, risulta avere toni stranamente profetici: «Washington cerca di creare il caos, al fine di aggravare la crisi economica del Venezuela».

È ovvio che questo deterioramento è dovuto in gran parte ad una linea distruttiva delle sanzioni che vengono applicate da attori esterni.
Gli USA stanno causando una crisi alimentare con l’obiettivo di innescare una ribellione e creare così in Venezuela un caos presumibilmente controllato.
Ieri, 9 febbraio 2019, infatti, l’autoproclamato Presidente Juan Guaidò non escludeva un intervento armato di Washington in suo sostegno, al fine di rovesciare il governo Maduro e prendere il potere sul paese sudamericano, svelando così la vera natura di quest’ondata di rivolte civili: quella dell’ennesimo golpe in Sud America.

Ripercorriamo sinteticamente la vita politica del Venezuela dal dopo Chavez in poi. Il 14 aprile 2013 Nicolas Maduro viene eletto per la prima volta Presidente della Repubblica del Venezuela con il 50.78% delle preferenze.
Da quel momento, la linea politica di Maduro si è assestata su quella del suo precedente Chavez, seguendone principi ed i dettami, ma questo non ha impedito al Venezuela, che è il quinto produttore mondiale di petrolio OPEC, di sprofondare in un crisi economica che ha avuto la sua causa iniziale proprio nel crollo dei prezzi del greggio.
Non solo, perchè a contribuire a tale crisi economica sono stati anche una corruzione dilagante e l’arretratezza delle infrastrutture, spesso legate alla compagnia petrolifera statale, che hanno portato ad una quantità sempre minore di petrolio immesso sul mercato.
In questo periodo si sono registrate anche le prime proteste di piazza,talvolta sfociate in atti violenti repressi dalla polizia e dall’esercito con altrettanta veemenza, liquidata da Maduro come «necessaria per impedire a bande armate e organizzate di realizzare un colpo di stato».

Nel 2017, poi, è arrivata la svolta definitiva quando gli Stati Uniti hanno adottato un insieme di misure per proibire ogni tipo di operazione finanziaria con il governo di Caracas, definito una dittatura e con la compagnia petrolifera statale Pdvsa.
Lo scorso marzo, inoltre, il presidente Donald Trump, mediante un decreto, ha proibito anche qualsiasi tipo di transazione con monete digitali emesse dal Venezuela dal 9 gennaio 2018.

Questo ha dato la botta finale alla già fragile economia venezuelana, causando l’impossibilità per Caracas di acquistare all’estero medicinali, generi di prima necessità, e generi alimentari di complemento oltre che una inflazione fuori controllo che ha toccato oramai picchi dei dieci milioni per cento.

Gli ultimi anni sono stati terribili per il Venezuela, che si è trovato a fronteggiare un esodo biblico composto da migliaia e migliaia di persone fuggite in Colombia o ammassate alla frontiera nel tentativo di espatriare.
A maggio 2018, poi, si sono svolte in un clima di tensione che ha visto numerose opposizioni escluse dal voto per motivi (sembrerebbe) legati a corruzione, le nuove elezioni presidenziali, concluse con la vittoria di Maduro, legittimata dal 62% dei consensi.
Da quel momento in poi, la già travagliata storia venezuelana è stata un susseguirsi di violenze, proteste ed ingerenze straniere, tristemente legate al petrolio e all’oro di cui il paese è ricco, per concludersi con l’autoproclamazione di Juan Guaidò, il Presidente del Parlamento controllato dalle opposizioni come «Presidente ad interim del Venezuela, con il compito di traghettare il paese verso nuove elezioni presidenziali».
Di dubbissima legittimità costituzionale, la mossa di Guaidò ha subito trovato il sostegno del paese che più di tutti ha interesse ad accaparrarsi le risorse naturali venezuelane, gli Stati Uniti, seguiti a ruota da quegli alleati storici, come l’ Unione Europea (Italia esclusa, fortunatamente) che non riescono a scrollarsi di dosso anni di interferenze statunitensi.
Schierati insieme al Presidente eletto Maduro, invece, gli stati del blocco «socialista
», Russia, Cuba, Bolivia e Cina, anch’essi non esenti da motivazioni di interessi economici.

Fino a quando perdurerà la fase di stallo in Venezuela? Non è dato saperlo, ma è probabile che fintanto che l’esercito bolivariano sosterrà Maduro, nulla si muoverà sullo scacchiere geopolitico.
Intanto gli U.S.A. preparano quella che è l’arma di distrazione di massa principale della loro politica estera in sudamerica: la manovra a tenaglia fondata su aiuti umanitari di facciata volti al fine di inserire sul territorio di agenti infiltrati e gruppi paramilitari per destabilizzare maggiormente il paese.
Sembrerebbe una macchinazione complottista, se non fosse storia già vista in Cile, Nicaragua e Cuba.
Prova ulteriore di ciò sarebbe la nomina di Trump a Eliot Abrams quale osservatore speciale per il Venezuela, un personaggio discutibile, falco dell’interventismo americano più volte sospettato di conninvenza con terroristi, narcotrafficanti e gruppi paramilitari, condannato nel 1991, ma riabilitato da Bush prima e Trump poi.
Sempre che non si realizzi prima la linea prospettata da Guaidò: l’intervento armato.

Insomma, in qualunque modo si evolverà la situazione, a pagare le conseguenze saranno sempre i cittadini venezuelani, stremati da anni di crisi, sofferenze, guerre interne e corruzione.
Chiederebbero soltanto di poter vivere la loro vita in pace, di essere felici, ma si sa, petrolio ed economia non guardano in faccia nessuno, nemmeno il diritto internazionale che pure sancirebbe il diritto all’autodeterminazione dei popoli, il dovere di non ingerenza degli stati negli affari di altri paesi ed il divieto di embargo.
Il petrolio è potere, l’oro è ricchezza, la gente civile null’altro che spazzatura sacrificabile sull’altare della politica internazionale.