La ripresa della moda italiana? Passa anche dal turismo

Quando si dice two is meglio che one.

In due il futuro fa meno paura. Un aiuto sostanziale al mondo della moda può arrivare dal settore del turismo, che ora è in ginocchio a causa della pandemia, ma che in Italia vale il 13% del Pil.
Questo binomio non è nuovo, anzi, le due economie sono da sempre concatenate. Il Made in Italy, riconosciuto in tutto il mondo, caratterizza sia il bicchiere di vino che il completo di marca.
Il marchio italiano, sinonimo di qualità, è al settimo posto per reputazione tra i consumatori a livello mondiale. KPMG, una rete di società indipendenti specializzata nella revisione e organizzazione contabile, lo considera il terzo brand al mondo per notorietà dopo Coca-Cola e Visa.

Questa consapevolezza può aiutarci a rimetterci in carreggiata, spingendoci a lavorare sull’attrattività della nostra penisola, ora un po’ sbiadita a causa del coronavirus. Pertanto è necessario far ripartire il settore turistico quanto prima, attraverso una maggiore sicurezza e sostenibilità. Per farlo bisogna coinvolgere di più gli enti locali: chi meglio di loro sa fornire le giuste informazioni al visitatore, guidandolo alla scoperta dei tesori, dei costumi e della storia del nostro territorio?

Un esempio pratico è la pubblicità alla reception degli alberghi. Si possono usare volantini e totem per presentare al turista un luogo storico o un prodotto di vestiario. Gli si può anche mostrare e far toccare un campione in materia prima tessile. Un’altra possibilità è quella delle promozioni con uno sconto a tempo, che spingano il visitatore ad approfittare di un’offerta a lui dedicata.
Inoltre, oggi il cliente chiede una maggiore sicurezza e una coniugazione con il green. Questo rappresenta una sfida, ma anche una possibilità: si possono creare percorsi ad hoc da fare all’aperto, a piedi o in bici, costituiti da tappe in cui il turista viene orientato. Tra queste tappe potrebbero esserci anche i negozi di abbigliamento, che fungerebbero da punti informativi per guidare le persone alla scoperta dei costumi locali.

Ci rifacciamo al caso dell’Umbria, regione con una lunga tradizione artigianale. Qui si stanno sperimentando tour enogastronomici che comprendono delle visite guidate nelle aziende del settore tessile. L’obiettivo è far conoscere alle persone la cultura manifatturiera dell’area, coniugando cucina e vestiario. Se l’esperienza stimola il suo interesse, forse il turista vorrà portarsi a casa un pezzo di quanto ha visto come ricordo. In altre parole, gli verrà voglia di comprare un capo d’abbigliamento.
Un’altra opzione per far ripartire la moda sono i canali social e le realtà virtuali, che durante la ripresa permetteranno a buyer, potenziali clienti e imprese di rimanere in contatto e ricominciare da dove ci si era fermati. Tuttavia, secondo gli esperti del settore, rimane lo scoglio dello shopping online che, diversamente da cosa si possa pensare, nel nostro Paese non rappresenta la soluzione principale al problema: si calcola che nel 2019 solo il 9% delle transazioni dei beni di lusso sia avvenuto via web.

Il coronavirus ha schiantato la moda, come titolato in un articolo del Post del 13 aprile 2020: la crisi ha messo in chiaro come l’abbigliamento sia sorretto da meccanismi globali legati a centinaia di fattori. Queste dinamiche non possono sussistere senza frontiere aperte. La crisi del Covid-19, che ha costretto alla chiusura dei confini e al lockdown generale, ha colpito a fondo questo mercato, che a livello mondiale vale circa 2.300 miliardi di euro, secondo il Financial Times, e conta 90 miliardi di fatturato. Solo nel nostro Paese la moda dà lavoro a più di 620 mila persone.
La Camera Nazionale della Moda Italiana, che ha fornito i dati, prevedeva a Febbraio 2020 una possibile contrazione del’1,8% in termini di perdite per il settore (nel 2019 l’export aveva fatto registrare uno +0,8%), a conferma di una situazione grave. La crisi cambierà il mercato e le sue strategie di pubblicità e marketing, come sfilate ed eventi. Tra questi ultimi, infatti, molti sono già stati annullati.
Ora che le frontiere riaprono, c’è da pensare a come tornare a competere e riprendersi, in un mondo impaurito dalla pandemia. Per ricominciare a intravedere un futuro più roseo, i grandi marchi dovranno senza dubbio affrontare dei cambiamenti sostanziali.

Federico Garau