Le più belle frasi di Osho: i segreti della satira più amata del momento (intervista)

Almeno una volta ci siamo fatti una fragorosa risata imbattendoci nelle battute della pagina Le più belle frasi di Osho, l’esempio di satira politica meglio riuscito degli ultimi anni. Non tutti sappiamo, però, chi ci sta dietro e come vengono messe a punto queste accuratissime vignette fotografiche.
Abbiamo allora voluto indagare su questo successo social (e non solo) intervistando Federico Palmaroli, l’artista che ci sta regalando tanti sorrisi con il suo estro pungente.

Innanzitutto, chi sei?

Sono una persona che un giorno ha deciso di aprire una pagina Facebook per mettere sotto la lente d’ingrandimento queste tendenze a voler emettere verità assolute, a voler essere guide spirituali da parte di soggetti come questo santone, Osho. Gli ho fatto dire cose tra le più sentite e risentite possibili. Per carità, sarà pure stato un punto di riferimento per tanti,  però se vai a documentarti, quei tipi di discorsi sono molto banali. Ho pensato che mettergli in bocca delle espressioni romanesche sarebbe potuto essere divertente e in effetti lo è stato.
Ho cominciato così, senza alcuna aspirazione a diventare famoso. Non mi aspettavo un riscontro di questo genere. Poi, per varie vicissitudini, ho cambiato l’oggetto della satira. Ho abbandonato il santone e ho iniziato a fare satira politica.

Vivi come burattinaio di Osho oppure hai un altro impiego?

No, io ho anche un lavoro normale, un lavoro cosiddetto borghese. La pagina era solo un passatempo, poi è diventata in seguito un’attività, ma alla fin fine lo considero sempre un passatempo, anche se ha preso forme diverse.

Come ti si può definire? Non un vignettista, quantomeno non classico perché non disegni, quindi un memista?

Il termine meme a dir la verità a me non fa impazzire perché è un po’ troppo new age. Quindi, a me piace definirle vignette. In realtà, se proprio dobbiamo trovare una definizione, possiamo considerarli fotoromanzi, perché ricordano molto quei giornali come Grand Hotel, dove c’erano le fotografie con le vignette sopra.

Ricordi quale è stato il tuo primo fotoromanzo? Ne avevi fatti altri prima di Osho oppure lui ha rappresentato il tuo esordio?

Ne avevo fatti altri, ma pubblicandoli solo nel mio profilo personale. Nella prima vignetta che ho fatto con Osho, appena aperta la pagina, c’era lui accanto a una piantina che diceva: I pomodori non sanno più de niente. Era il 23 febbraio 2015. Mi ricordo bene la data perché è il giorno in cui ho creato la pagina Facebook.

Come nasce una tua vignetta? Vengono prima la battuta e poi l’immagine, oppure capita anche viceversa?

Succedono entrambe le cose. Capita che io abbia già la battuta in mente e si tratti poi di trovare l’immagine giusta che l’accompagni, oppure a volte non mi vengono le battute e allora cerco di ispirarmi attraverso una foto, già sapendo qual è il personaggio su cui voglio fare satira, perché protagonista di un fatto di cronaca. Certamente, quando viene subito la battuta è più facile, però anche senza la battuta del secolo gioca molto il fatto di associare un discorso simpatico, del sentire comune a una posa che lo accompagna perfettamente. Io sono molto maniacale nella ricerca della posa giusta.

La parlata romana aiuta ad arrivare al pubblico? Se Osho parlasse in un altro dialetto risulterebbe così simpatico e popolare?

Potrebbe essere simpatico nel posto in cui viene utilizzato quel dialetto. La forza del romanesco è di essere più o meno comprensibile a tutti, anche per questioni legate alla cinematografia. Tanti film sono stati girati in romanesco e sono stati capiti, perché comunque non è un vero e proprio dialetto, ma una cadenza. Sicuramente aiuta. Aiuta ogni tanto anche mettere una parolaccia, rende più forte la battuta.

Ti fai influenzare dalle tue convinzioni personali quando confezioni un tuo lavoro oppure cerchi di interpretare il sentire comune del momento?

Cerco più di interpretare il sentire comune, perché non voglio trasformare la satira in qualche attacco personale dovuto alle mie idee, al mio schieramento. Tento appunto di riportare nelle vignette il sentimento comune e lo si fa bene con la satira contro il Governo. Storicamente la satira si fa contro il Governo perché esso prende decisioni che possono essere anche scomode per i cittadini. Se un giorno mi ritrovassi a fare satira sulle attuali forze di maggioranza in futuro eventualmente all’opposizione, effettivamente qualcuno potrebbe dire che allora è un fatto ideologico.

Ora sei approdato stabilmente in televisione con i tuoi fotoromanzi, a Porta a Porta. Ti senti libero come quando crei per la tua pagina?

È normale che non puoi fare quello che fai sui social. Ci sarebbero paletti anche in televisioni che non sono RaiUno, che è la rete ammiraglia e deve rispettare certe regole, regole a cui di conseguenza devo sottostare anch’io. Le parolacce sono bandite. Questo ovviamente un po’ di difficoltà me la comporta. Se non posso fare una battuta che verrebbe bene con una parolaccia, io preferisco cambiare battuta, piuttosto che edulcorarla.
Però, posso dire che non ci sono censure di tipo politico e ideologico. 

Come funziona la produzione per Porta a Porta? Ti commissionano le vignette in base a chi va ospite?

Sì, mi comunicano l’ospite e il tema. Se l’argomento è uno di quelli di cui si parla in quei giorni, sono bombardato da informazioni che aiutano il mio lavoro. Quando invece viene invitato, ad esempio, il Sottosegretario ai trasporti, che naturalmente parlerà di trasporti e che magari in quel periodo non è sotto l’occhio del ciclone, oppure non è sotto la lente d’ingrandimento un evento specifico legato ai trasporti, allora diventa più difficile farci satira su.

Hai mai ricevuto minacce, diffide o querele per la tua produzione satirica?

No. Solo insulti, soprattutto dal sostenitori del Governo, una cosa che prima non c’era. Durante la Prima Repubblica i governi venivano bersagliati dalla satira e si poteva arrabbiare forse il politico che ne era oggetto, invece di qualche suo supporter. Ora succede più il contrario. I politici si sono adeguati al linguaggio della satira, anche grazie ai social, a parte casi eclatanti in cui qualcuno è andato un po’ oltre.

Ritornando, infine, al dualismo cui avevamo accennato all’inizio tra vignette disegnate e meme. Coesisteranno o i meme sono l’evoluzione delle vignette e li soppianteranno, un po’ come fu per il cinema sonoro col cinema muto?

I vignettisti sono stati sempre molto longevi. La vignetta disegnata continua a sopravvivere da anni e anni e, nonostante l’avvento di strumenti e piattaforme digitali, esiste ancora.
Io mi sono ritagliato un po’ una nicchia che sfrutta l’espressione precisa di un momento preciso immortalato. Di questo filone penso di essere il maggior rappresentante. Quando c’è un argomento caldo molti si cimentano e sicuramente possono venire fuori anche meme migliori dei miei, ma la difficoltà è farlo tutti i giorni, sull’attualità. Io penso di essermi inventato qualcosa in cui non in tanti riescono a cimentarsi.
Più in generale, ritengo che vignette e meme continueranno a procedere in parallelo, vista la longevità delle vignette. Penso che abbiano già vissuto momenti in cui sarebbero potute morire e invece non è successo. Non credo si possa arrivare a un punto in cui o l’una o l’altra.