Lettere dal Guatemala: in visita alla povertà

Avete presente una casa? Con cucina, salotto, bagno, camere da letto, magari un secondo bagno e un garage? Ok, adesso togliete la cucina, togliete la camera, togliete il bagno. Immaginatevi una cantina, ecco.
Si, una di quelle cantine di una volta piene di umidità, muffa, senza luce, senza pavimento, puro cemento.
Una stanza così, quindi, con (forse) un divano per dormire e un fornello per cucinare. Il bagno – se c’è – quasi sicuramente lo troverete fuori dalla stanza.

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Ora immaginatevi una famiglia: cinque bambini dai 2 ai 7 anni, una mamma di 22, una nonna di 37 e forse un papà sempre che non sia in carcere o a bere o con altre ragazze.
Immaginateli li, in questa stanza, senza acqua potabile, con 2 piccole finestrelle in alto, una porta che, appena esci, porta ad un burrone pieno di basura come la chiamano qui ovvero spazzatura, la spazzatura di tutta la colonia è dentro a questo burrone, quindi immaginatevi l’odore che ne esce nella stagione delle piogge, ossia sei mesi all’anno!
Bene, ora immaginatevi la mamma e la nonna che lavorano dalle 6 di mattina alle 6 di sera per mandare i figli in un posto sicuro, un collegio, una scuola, un centro.
Immaginatele pregare appena si svegliano, ringraziando il signore di essere vive; pregare per il cibo che sono riuscite a mangiare, pregare alla sera per essere ancora qui.
Immaginate la fede che hanno dentro di sé, nonostante non abbiamo nulla, nonostante il dolore e la sofferenza.
Questo è solo uno dei tantissimi esempi di questa realtà in Guatemala, e ho potuto vederla con i miei occhi qualche giorno fa quando, con le maestre del centro, siamo andate a fare visita a tre famiglie dei bambini.
Ogni mercoledì c’è questa visita sociale per capire la realtà in cui ogni famiglia vive e fare in modo di risolvere certi problemi.
Sono rimasta decisamente sconvolta, mai avevo visto una casa così, una stanza così, un posto dove vivere così mal ridotto, era come se potessi respirarla la povertà che ha quell’odore di muffa e umidità, quel colore grigio e quel silenzio d’imbarazzo e di vergogna.

Ilaria Bedin