L’Italia punti sui giovani per la ripresa economica

L’Italia non è un Paese per giovani, ce lo ripetiamo da tempo e, considerati gli effetti del lockdown sull’economia e sul mercato del lavoro, saremo costretti a rimanerne convinti ancora a lungo. A confermarlo sono le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) secondo cui la disoccupazione giovanile sarebbe in crescita a livello globale dal febbraio 2020, mentre parallelamente in Italia l’Eurostat registra una quota di giovani tra i 15 e i 29 anni né occupati né inseriti in percorsi di formazione pari al 29,7%, ben al di sopra della media europea del 16,6%. Se a dover affrontare un futuro tutt’altro che roseo sarà dunque in prima battuta la cosiddetta «generazione lockdown», la situazione si fa ancora più preoccupante se si considera che a farle compagnia saranno anche i Millenials, i trenta-quarantenni di oggi che dovranno lottare per mantenere il proprio posizionamento nel mercato del lavoro e che costituiranno la spina dorsale del Paese nel futuro più prossimo.

Entrati nel mercato del lavoro nel pieno della crisi del 2008, quando già si registrò un calo significativo nel tasso di occupazione giovanile, i Millenials si trovano dunque ad affrontare una nuova crisi, quella sanitaria, che al pari della precedente non li risparmierà. Se non fosse per la gravità della situazione, ci sarebbe quasi da pensare ad una sfavorevole congiuntura astrale. Ma per l’Italia non si tratta di semplici congiunture, astrali o economiche che siano. Nei decenni gli investimenti in politiche attive volte a creare nuovi posti di lavoro sono mancate, con il risultato che ad oggi gruppi già in partenza svantaggiati, primi fra tutti donne e giovani, si trovano più che mai esposti a rischi sociali, quali disoccupazione e povertà. 

Il paradosso che in molti sembrano ignorare è che la sostenibilità dell’intero sistema di welfare negli anni a venire dipende dalle scelte prese da quanti oggi si trovano a decidere della ricostruzione post- pandemia del Paese e già fra 15 o 20 anni non faranno più parte della popolazione attiva e dunque non saranno interessati direttamente dalle politiche adottate. È evidente che una strategia pensata per il breve periodo non può bastare per rimettere in moto il Paese e se non si sarà in grado di investire sul futuro facendo fronte al continuo aumento della disoccupazione e inattività giovanile, il rischio di rimanere intrappolati nell’attuale situazione economica e sociale è altamente probabile.

Per come stanno le cose ad oggi, con una popolazione in costante invecchiamento e una quota preoccupante di giovani precari, disoccupati e con ogni probabilità costretti a mantenersi in futuro con una pensione da fame, l’Italia non può dunque più permettersi di rimandare il dialogo con le nuove generazioni. C’è un’ampia fascia della popolazione composta da giovani la cui formazione vanta un bagaglio di competenze e conoscenze tali da poter assicurare un nuovo slancio al Paese. Escluderla dai giochi sarebbe l’ennesima occasione persa e dimostrazione dell’incapacità dell’Italia di guardare al futuro.