L’opposizione grida al fascismo e fascismo sarà

Nel giorno dell’assoluzione di Virginia Raggi, l’ora della ritrovata euforia grillina, della dissoluzione di ogni dubbio sulla condotta della sindaca più osteggiata di Italia, Luigi Di Maio lascia andar via la lingua e l’attesissimo post, volto a corredare con un’ultima sontuosa cornice la sentenza più discussa dell’anno, diviene via Facebook uno sferzante attacco contro la stampa.
«Il peggio di questa vicenda – commenta il vicepremier – lo hanno dato la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, che ogni giorno per due anni, con le loro ridicole insinuazioni, hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi».

L’osservazione del capo politico del M5S non tarda ad esser recepita dagli organi di informazione, ad esser diffusa dalle principali emittenti televisive del Bel Paese e, cosa ancor più preminente, ad esser introdotta con una generale smorfia di afflizione, come quando dal nostro stomaco si apprende di una fastidiosa indigestione, di uno sgradevole spasimo da condividere con chi è salubre e immune, il sensibile telespettatore. Così, Paolo Celata ricerca su La7 la commozione di chi lo ascolta, non risparmia l’aggettivo «pesantissimo» alle parole di Di Maio, anticipa che sarà contenuta nel prossimo servizio anche la dichiarazione di chi ha detto di più (Alessandro Di Battista, che sul suo profilo Facebook attacca: «I pennivendoli l’hanno colpita come donna. Ma le puttane sono loro») e, nel mucchio di coloro che criticano lo stile, esaminano gli stilemi, riflettono sull’efficacia delle figure retoriche, bocciano l’assenza del terso, dell’edulcorato, del sublime, sono nuovamente rinvenuti gli ultimi borbottii di chi nel Partito Democratico e in Forza Italia vuol far opposizione, magari offrendosi di tenere per la maggioranza una lezione di galateo, di ortodosso uso del linguaggio civile e democratico.

Così, il segretario dimissionario del PD, Maurizio Martina, dichiara: «Dai 5 stelle altro vergognoso attacco all’informazione. Hanno paura della libertà e pretendono un paese di servi del potere. A tutti i giornalisti va la nostra solidarietà». Non c’è che dire, deve essere uno fra i più sensibili dei telespettatori rimasti. Ma centra il segno, con un assai più temerario confronto metastorico, Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi azzurri di Camera e Senato; per lui, infatti, i dirigenti del M5S sono fascisti dentro, pericolosi fascisti. «Oggi il vicepremier smette i panni del Balilla e può gareggiare con lui da vero gerarca» – afferma perentoriamente e poi rincara – «Il gerarca Di Maio minaccia ovviamente in stile fascista i media con una legge punitiva sugli editori puri: merita tutto il disprezzo possibile per la sua viltà, lo dico da giornalista e da politico. I giornalisti italiani lo obblighino a inchinarsi e chiedere scusa, altrimenti, ogni volta che lo avranno di fronte, gli voltino le spalle e gli dedichino una sonora pernacchia, perché questo è l’unico linguaggio in grado di capire». La stampa italiana, classe glorificata, santificata e protetta, non passibile di rimproveri e improperi per gli errori compiuti nell’esercizio della sua attività, ovvero nel suo (libero) tentativo di sostenere la parte amica, criticare la parte avversa, diviene, alla luce di tal portamento, oggetto di critica e spirito riformatore per chi oggi guida la Nazione, strumento di controllo sulle masse sensibili e commosse per chi l’ha guidata fino al tracollo. Peccato che metodo, finalità e conclusione dei secondi, fini difensori del bello e del giusto, siano stati adoperati nel Primo Novecento proprio dal primo vero gerarca dei gerarchi d’Italia, Benito Mussolini, in parte fondatore dell’essenza dell’attuale giornalismo italiano, egli stesso giornalista e creatore di un movimento di sudditanza ed elogio nei confronti della propria autorità, che generò, non a partire da un’esterna imposizione dei temi fascisti, ma per mezzo di una personale attività autocelebrativa, che coinvolse perfino la sua penna, solo in un secondo momento ripetuta ed imitata dai colleghi a lui contigui.

I nuovi eredi delle movenze fasciste, con l’uso di un puramente formale linguaggio democratico, conferiscono ripetuti echi, su di un nuovo e difforme humus culturale, a tutto ciò che il fascismo potrebbe loro ricordare. È il ritorno dell’«antifascismo archeologico» teorizzato da P.P.Pasolini, che, in assenza di fascismo, diviene antifascista, ma ricreando l’atmosfera intellettuale omologata e omologante del fascismo storico.

Il gioco è fatto: coloro che aspirano ad esser guidati nel contesto internazionale da una solida, sicura e vigorosa figura politica, vie più riconosciuta nella voce dei due vicepremier, Salvini e Di Maio, chiamati a cancellare dal voto democratico decenni di immobilismo e moderatismo autolesionista, nell’ascoltare oggi le voci di chi grida al fascismo, è indotto a ritener fascista ciò che in realtà, allo stato attuale, non lo è. Se Martina e Mulè sono oggi per la stampa dichiaratamente «antifascisti», saranno presenti per tutto lo Stivale uomini e donne che, avendo maturato avversione per l’opposizione antifascista, saranno pronti ad autodefinirsi fascisti. Nella confusione delle ideologie, dei piani storici, dei dovuti raffronti, tutti vorranno silenziare azzurri e democratici, in una compiuta e bramata ricerca del Fascismo.

Il discusso scritto «Istruzioni per diventare fascisti» di Michela Murgia costituisce, dunque, al netto di ciò che i movimenti della stampa ci spingono a comprendere, un manuale di addestramento allo spirito fascista, fondato su un’oculata mistificazione del presente. Riuscirà per assurdo l’opposizione ad arrestar il cambiamento, narrando sgomenta di un fascismo che non esiste, per affermare un antifascismo fascista, un fascismo antifascista?