M5S: «Come si cambia per non morire»?

Lo sappiamo: ancora una volta il Movimento 5 stelle non è stato in grado di trionfare alle elezioni regionali. In Parlamento ha fatto il suo ingresso nel 2013 accaparrandosi immediatamente il 25% dei consensi, dopo cinque anni è addirittura arrivato a governare il paese, ma alle regionali i risultati sono, invece, sempre stati piuttosto modesti, persino ora che, appunto, i pentastellati siedono tra i banchi della maggioranza in Parlamento.

Come qualsiasi forza politica dotata di serietà e maturità dovrebbe fare, il M5S ha avviato, già all’indomani del risultato sardo, una discussione interna per accertare quali siano le cause di questi che veri e propri insuccessi non sono (se si pensa che precedentemente in regione Sardegna non sedeva neanche un consigliere grillino), ma che comunque rappresentano un andamento fiacco dell’avanzata pentastellata a livello locale. Soprattutto, il Movimento ha interesse a mettere a punto la ricetta vincente per competere ad armi pari rispetto agli altri schieramenti.

Infatti, uno degli aspetti che lo penalizza da sempre è correre da solo senza stringere alleanze, diversamente da come si presentano gli altri partiti, in coalizioni di centrodestra e centrosinistra, spesso appoggiati da liste civiche. Lo abbiamo visto proprio in Sardegna: la scheda elettorale appariva come un lenzuolo, tanto era estesa, col simbolo dei 5 stelle solo soletto in un angolo e decine di altri a esso contrapposti.

Luigi Di Maio, in virtù di questo meccanismo che mette in difficoltà il suo movimento, ha presto avanzato una proposta: quella di affiancare anche ai pentastellati delle liste civiche. Civiche per davvero, intende il leader, ossia non escamotage attraverso i quali già navigati attori politici si riciclano nel tentativo di ritornare immacolati agli occhi dell’elettorato, ma composte da cittadini volenterosi che desiderano mettersi al servizio della loro città o regione.

Un’analoga strategia era stata attuata anche lo scorso anno, alle politiche, per affrontare lo scoglio degli uninominali, dove servivano candidati convincenti, carismatici, apprezzati dagli elettori: un po’ difficile per un movimento che viene dal basso, pieno di facce poco o per nulla conosciute. Pensarono, allora, di ricorrere a personalità affermate del mondo dell’informazione, dell’economia, dello sport per poter risultare vincenti negli scontri diretti contro politici molto noti. Fu così che vennero imbarcati, tra gli altri, i giornalisti Emilio Carelli e Gianluigi Paragone e il Comandante Gregorio De Falco, celebre per la sua azione nelle circostanze tragiche del naufragio della Costa Concordia, già trasmigrato nel Gruppo Misto in seguito a divergenze sulla linea politica.

Avanzando questa possibile soluzione, Di Maio sa bene che si sta muovendo sul pericoloso terreno delle deroghe. L’appartenza al Movimento e l’attivismo costante sul territorio sono sempre stati tra i requisiti minimi per potersi candidare tra le sue fila, mettendo l’accento sull’importanza dell’impegno politico da parte di tutti i cittadini. Ora, invece, il rischio è che accettino di essere affiancati da soggetti che si avvicinano alle dinamiche locali solo in vista di un possibile approdo nei palazzi del potere, persone che normalmente si disinteressano delle problematiche del territorio che si fanno notare solo perché allettati dall’idea di essere eletti. Sostanzialmente, il pericolo è di compromettere l’anima del servizio alla comunità e dell’attenzione alle istanze della popolazione non solo a ridosso del voto, preferendo a queste una maggiore appetibilità.

Un altro sviamento rispetto alle regole rigide su cui si è fondato il Movimento di Grillo appare all’orizzonte, anche questo proposto da Luigi Di Maio: abbattere il tetto dei due mandati per i consiglieri comunali, affinché, terminato il secondo, essi possano correre per le regionali o le nazionali.
Secondo il Ministro, non è plausibile ritenere il ruolo di un semplice membro di un Consiglio Comunale un privilegio, motivo per cui non si pone il problema che questo si estranei dalla realtà venendo sopraffatto dalla smania di prestigio. Forse risulta un po’ ingenua la posizione di Di Maio, il quale dimentica che anche in piccole città si instaurono dinamiche di potere e di interessi personali molto intense, per cui si potrebbe essere tentati di deviare l’attività dal bene del cittadino al proprio tornaconto: sarebbe preferibile non far permanere troppo a lungo un soggetto al loro interno. 

Per contrastare questa deriva, è intervenuto Nicola Morra. A suo parere, l’antidoto alle sconfitte elettorali non risiede nel rinnegare i principi dell’origine, ma nel rivalutarli: «Se i futuri candidati per le regionali, le politiche e le europee provenissero dalle liste per le comunali, come si fece nel 2013? Dunque: se ti vuoi candidare a ruoli al di sopra del Comune, devi esserti prima candidato a livello comunale. In questo modo torneremmo a valorizzare l’impegno presso l’espressione dello Stato più vicina al cittadino, il Comune. La democrazia è partecipazione!».

La strategia del Presidente della Commissione Antimafia appare molto ragionevole. D’altronde, che fine farebbe il Movimento, rinunciando a tratti peculiari come il limite dei due mandati, il disdegno delle alleanze e la già accantonata impronta giustizialista? «Come si cambia per non morire», ma probabilmente, in questo caso, una rivoluzione troppo marcata, annullando le caratteristiche che hanno contraddistinto il Movimento dai partiti tradizionali, condurrebbe, al contrario a un decesso repentino.