Mannelli e i lettori con il sessismo negli occhi

gennaio 2015: siamo tutti Charlie. Agosto 2016: siamo tutti moralisti. «Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista», diceva Pier Paolo Pasolini. Dopo l’ultima vignetta di Riccardo Mannelli, pubblicata in prima pagina sul Fatto Quotidiano del 10 agosto, i benpensanti hanno rifiutato «il piacere di essere scandalizzati».

Vietato ironizzare sul ministro Maria Elena Boschi, ma soprattutto sulle sue cosce. Quindi eravamo con Charlie Hebdo anche se là c’era la Trinità durante un rapporto anale, mentre ora che è stata toccata in modo «sessista» (tratteniamo a stento le risa) la santissima Meb urliamo alla blasfemia. In altre parole, Padre, Figlio e Spirito Santo, tutti e tre insieme, non fanno una coscia della Boschi.
Il meglio arriva ovviamente dall’
Unità (con buona pace di Antonio Gramsci): a partire dal direttore Sergio Staino che all’indomani della strage di Charlie aveva dichiarato «Vignette anche brutte, ma il loro no alla censura aiuta tutti quanti» (fonte: RaiNews), mentre ieri ha fatto un passo indietro «Mannelli dovrebbe chiedere scusa». Francesca Pontani sentenzia che «mentre il femminicidio non è più un fenomeno ma una piaga sociale e culturale, mentre tutto questo accade ed accade in Italia, proprio dei giornalisti riportano DI NUOVO E SENZA FILTRI il corpo della donna in primo piano». Come se la vignetta di Mannelli fosse in qualche modo legata ai femminicidi e soprattutto come se Mannelli facesse giornalismo e non satira. Sempre sul giornale del Pd Antonella Gramigna definisce la vignetta «alquanto volgare e sessista» e la battuta di «pessimo gusto» e, aggiunge, «come sempre Travaglio usa fare». Quindi l’autore non è Riccardo Mannelli, come invece viene scritto due righe più in basso, ma è il direttore del Fatto, che ultimamente si è dato al disegno. La Gramigna continua la sua invettiva: «Credo che la misura sia colma, e che qualcuno abbia superato il limite che travalica la “sana” satira». Le virgolette appaiono incomprensibili, ma appare ancor più enigmatico che sia la Gramigna stessa a stabilire quale satira sia «sana» e quale invece «malata». La conclusione è ancor più esilarante: «Caro direttore (Travaglio ovviamente, ndr), lo avrebbe “Fatto” pure per Roul (sic!) Bova o Brad Pitt? Vergogna!». A parte il gioco di parole da asilo mariuccia e — di nuovo — il fatto che Travaglio non è l’autore della vignetta, la risposta a questa (seppur retorica) domanda è scontata: Raul Bova o Brad Pitt non si sono mai occupati di riforme costituzionali.
Le vignette vanno capite e non spiegate: se non le capisce nessuno è un problema del vignettista, se non le capisce qualcuno il problema è nel lettore.