Niente censura: vogliamo vedere la morte in Siria!

Fatto di cronaca: nei primi giorni di aprile un nutrito gruppo di persone in Siria, in gran parte bambini, è stato innocente vittima di un attacco militare a base di gas nervino ancora di origine ignota, o almeno così pare data la sistematica e automatica deresponsabilizzazione dei paesi additati. Decine di persone paralizzate e incapaci di muovere un muscolo (anche il diaframma, che servirebbe solamente a respirare, ricordo essere un muscolo) sono state immortalate da obiettivi di fotocamere e telecamere e tale contenuto ha fatto il giro del web. Dapprima immagini e filmati erano integrali nel loro contenuto crudo, sì violento, ma che mostrava la realtà. Poi le immagini  hanno cominciato a girare con blur sopra i volti e i corpi, sfocate e censurate. Il motivo? Trattasi di cosiddetti contenuti violenti. I telegiornali e il web stanno oscurando i video delle vittime di guerra. Si denuncia infatti l’inutilità della divulgazione di tali realtà troppo sanguinolente per darne visione.
Vorrei in realtà contro-denunciare l’inutilità di questa censura.
Le persone devono, e vogliono, vedere, capire: questa guerra non è astratta, non si tratta di un paragrafo del libro di testo di scuola, né una stroriella romanzata pseudo-storica che ci racconta di amori ostacolati in tempi di guerra, di come tutto si possa risolvere dietro a parole di inchiostro nero su carta bianca. Questa guerra ha innumerevoli tinte di orrore: i colori degli abiti di coloro che, riversi a terra, sono stati immolati in nome di qualcosa di cui spesso non sanno nemmeno il nome, il violetto sulle labbra di decine di bambini che, cianotici, non riescono o non possono più respirare, il rosso del sangue che colora le strade delle cittadine di una mattanza che niente dovrebbe avere a che fare con gli esseri umani.
Questa sorta di intorpidimento della coscienza collettiva attraverso il filtro mediatico non ha scopo d’essere. Le persone devono spezzarsi di fronte alla realtà, indipendentemente da quale essa sia, e sentirsi coinvolti e sconvolti in prima persona.
Le persone che muoiono dietro ai nostri schermi e display sono di carne ed ossa, hanno consistenza reale e non di soli pixel. L’appello, il grido d’aiuto deve passare anche attraverso una reale trasposizione di realtà. La gente ha bisogno di vedere non solo per capire, ma per parlarne. C’è l’assoluto bisogno di un restauro di coscienza comune per permettere un confronto, un dialogo, affinché tutto ciò non resti impresso solamente come un vago ricordo di una fotografia sfocata e senza senso, ma perché faccia da propulsore per opporsi a tanta violenza ingiustificata – sì, perché ogni violenza lo è. Non ci si può permettere, non in una società complessa e globalizzata come quella di questo secolo, di rimanere estranei e lontani da tutto ciò, quando un televisore o un pc connettono visivamente persone da capi opposti del globo.
Non guardare «perché fa male» è vile e controproducente.