Olimpiadi ai tempi del Covid: quello che accadrà a Tokyo non resterà a Tokyo

Quindicimila atleti più altre decine di migliaia di persone tra familiari, staff, preparatori atletici, giudici di gara e giornalisti da 200 diversi Paesi sono arrivati a Tokyo per le Olimpiadi e le Paraolimpiadi 2020. È passato un anno dal primo rinvio per Covid, ma la situazione pandemica in Giappone è più allarmante ora rispetto a dodici mesi fa. Il Paese è di nuovo in stato di emergenza per la crescita di casi più significativa da sei mesi a questa parte. A una settimana dalla cerimonia di apertura, il 15 luglio, nella sola Tokyo ci sono stati 1308 nuovi contagi: un numero non troppo elevato per gli standard occidentali, ma preoccupante per il Giappone. Anche se il Paese è riuscito a limitare i casi di Covid-19 a 831866 in totale e ha avuto finora 14966 decessi, l’80% di queste morti è avvenuto nel 2021. Inoltre, a causa di una sonnolenta campagna vaccinale, soltanto il 18% della popolazione giapponese adulta è pienamente vaccinato. I timori che le Olimpiadi di Tokyo si trasformino in un evento superdiffusore come è stato per gli Europei di calcio sono più che motivati. Nonostante le precauzioni è quasi scontato che i giochi favoriscano la diffusione della variante Delta, ma il rischio è che l’evento serva anche da calderone per mischiare, generare e diffondere nuove varianti virali. Proprio in questi giorni l’OMS ha lanciato l’allarme sulla «forte probabilità che emergano nuove e forse più pericolose varianti che potrebbero essere ancora più difficili da controllare». 

Secondo Brian McCloskey, consigliere del Comitato Iternazionale Olimpico sulle misure anti-covid, «l’obiettivo non è non avere il coronavirus a Tokyo. L’obiettivo è di evitare che questi casi individuali formino cluster ed eventi superdiffusori». La domanda sorge spontanea: «Come pensa di riuscirci?». Qui di seguito, alcune curiosità sulle misure anti-covid previste alle Olimpiadi.

Non è necessario che gli atleti olimpici siano vaccinati, ma ci si aspetta che circa l’80% dei residenti al Villaggio Olimpico lo sia. Comunque gli atleti vaccinati non saranno trattati diversamente dai non vaccinati. Gli atleti e il loro seguito devono arrivare non prima di 5 giorni dall’inizio delle loro gare. Prima della partenza sono richiesti due test anti-covid (uno entro 96 ore e uno entro 72 ore dal volo) e bisogna certificare l’esito negativo di entrambi. All’arrivo in Giappone ci si sottopone a un altro test rapido alla dogana prima di essere condotti al Villaggio Olimpico. Atleti e visitatori internazionali o giapponesi devono scaricare un’app che permette al Governo di tracciare i loro movimenti e compiere il contact tracing. Gli atleti devono lasciare il Giappone non più tardi di 48 ore dopo aver completato la loro gara o essere stati eliminati. Non devono fare la quarantena e possono gareggiare da subito. Per evitare il periodo di isolamento devono acconsentire a «operare sotto un più alto livello di supervisione», vale a dire accettare che spostamenti e cellulari vengano monitorati.

Tutti i partecipanti ai Giochi, dagli atleti ai responsabili per la sicurezza, saranno testati a intervalli regolari. Agli atleti saranno richiesti due test antigenici al giorno, uno al mattino e uno al pomeriggio. Nel caso uno di questi fosse positivo, su quel campione sarà effettuato il più accurato test molecolare (tampone PCR). Se anche questo fosse positivo, l’atleta dovrà sottoporsi ad un tampone nasale e orofaringeo vero e proprio. Nel caso in cui un atleta risultasse positivo, verrebbe immediatamente messo in quarantena e gli spetterebbe la medaglia minima della competizione che stava per fare. Chiunque sia stato senza mascherina a meno di un metro di distanza per quindici minuti viene considerato contatto ravvicinato.

Nonostante le regole stringenti e le misure per lo stato di emergenza, è inevitabile che un evento internazionale come le Olimpiadi spinga le persone a interagire, incontrarsi e mescolarsi in hotel, ristoranti, mezzi di trasporto. La decisione di non ammettere spettatori alle gare, alla luce di tutto questo, rischia di non bastare: ci si aspetta un rimbalzo di casi in Giappone e, in seconda battuta, nel resto del mondo. La pandemia ci ha infatti insegnato che quello che accade in un luogo si allarga anche al resto del Pianeta come fanno i cerchi nell’acqua. Quello che accadrà a Tokyo non resterà a Tokyo.